sabato 14 giugno 2008

Bluff nei numeri di via Arenula!



Bluff nei numeri di via Arenula
Italia, la più garantista d'Europa


di CARLO BONINI
ROMA - Sostiene il ministro di giustizia Angelino Alfano che "grandissima parte del Paese è intercettato". Che "il numero delle intercettazioni non può essere giustificato né in base al numero degli abitanti, né in base al nostro ordinamento giuridico". Che "la spesa è ormai alle stelle: un terzo del bilancio". Dunque, che mettere mano al codice di procedura penale che ne disciplina l'uso e la pubblicità è ormai passaggio improcrastinabile. Le cose stanno cosi?

Se le si incrocia con i dati statistici più aggiornati (fonte lo stesso ministero di giustizia), le parole del ministro sembrano uscirne rafforzate. I numeri dicono che, nel 2007, nel nostro Paese le utenze intercettate sono state 124 mila 845, quattro volte quelle autorizzate nel 2001, e che questo "ascolto", diventato ormai, nelle routine delle procure della Repubblica, "principale strumento di acquisizione della prova", è costato alle casse dello Stato 224 milioni di euro. E tuttavia, i numeri sanno essere bugiardi.

Come ogni addetto - magistrato, investigatore o avvocato che sia - sa ed è pronto a spiegare, il numero di utenze intercettate non equivale ad altrettanti cittadini sottoposti a controllo. In un'indagine penale, uno stesso indagato è intercettato su più utenze: abitazione, ufficio, telefonia mobile. Soprattutto, come la routine giudiziaria documenta, non esiste ormai indagato appena avveduto che non cambi con frequenza settimanale la propria o le proprie schede telefoniche cellulari.

Quel primo numero, dunque - 124.845 - racconta di una popolazione di ascoltati meno fitta di quel che appare. Verosimilmente inferiore agli 80 mila indagati, meno dello 0,2 per cento della popolazione del nostro Paese.

Si potrà dire - come osserva del resto il ministro Alfano - che, anche purgato, resta un numero eccessivo. Ma anche qui, se fonti qualificate del ministero dicono il vero, è un fatto che oltre l'80 per cento delle intercettazioni è autorizzato per reati di criminalità organizzata.

Anche sulla spesa, c'è qualche sorpresa. Nonostante nel 2007 le utenze intercettate abbiano raggiunto il numero più alto degli ultimi sei anni, il risparmio è stato di 84 milioni di euro rispetto al 2005 e di 5 rispetto al 2006. Con un costo unitario per intercettazione di 1.794 euro. La metà del 2005, un terzo del 2002.

"Troppo", si osserva ancora. "Le intercettazioni si mangiano un terzo delle spese di giustizia". Ma anche questa circostanza non appare esatta. Il bilancio per la giustizia del 2007 è stato di 7 miliardi di euro, di cui i 224 milioni per intercettazioni non rappresentano evidentemente il 30 per cento. Al contrario, quella cifra è un terzo di uno dei capitoli di bilancio del ministero. Quello cosiddetto delle "spese di giustizia obbligatorie". Quelle, per intendersi, su cui gravano anche i consulenti, i periti. Le stesse spese al cui pagamento è condannato, per legge, "l'intercettato" riconosciuto colpevole e che, normalmente, il ministero rinuncia quasi sempre ad esigere.

Ancora. I costi per le intercettazioni sono normalmente composti da due voci. Il noleggio delle attrezzature, la tariffa oraria o giornaliera da versare al gestore telefonico (fisso o mobile) per l'uso della linea. Bene, il prontuario con cui, ancora oggi, lo Stato salda queste voci è quello firmato con i gestori 10 anni fa. Più o meno, agli albori della rivoluzione del mercato telefonico. Il ministero paga dunque per intercettare ciò che nessun cittadino si sognerebbe mai di pagare e soprattutto che nessun gestore telefonico si sognerebbe mai di esigere.

Un esempio. Per un'intercettazione ambientale (che funziona attraverso scheda telefonica), lo Stato paga una tariffa business piena da 60-70 euro al giorno. "Con un piano tariffario "you and me" - osserva sorridendo un magistrato - pagherebbe solo il canone della scheda". Da quel prontuario, a quanto pare, non c'è stato modo di scostarsi. Non sono riusciti i governi di centro-destra. Né quelli di centro-sinistra. Né, l'obbligo di piani tariffari agevolati "per ragioni di giustizia" è mai entrato (come avviene in paesi come la Germania) tra le condizioni necessarie per il rilascio della licenza al gestore telefonico.

Se allora l'argomento dei numeri si dimostra meno solido di quel che appare, resta quello dei "princìpi". Un lavoro comparativo pressoché dimenticato della commissione parlamentare giustizia del 2006, "svelò" al nostro Parlamento che la disciplina delle intercettazioni telefoniche, nel nostro Paese, è tra le più garantiste d'Europa, sia nella fase in cui viene disposta (su richiesta del pubblico ministero, la autorizza un gip, fissandone il tempo e i limiti), che in quella in cui viene conclusa (vengono trascritte soltanto le intercettazioni ritenute rilevanti e la parte ne viene messa a conoscenza), cessandone la segretezza anche a beneficio dei media e dunque dell'opinione pubblica.

Qualche esempio. Nel Regno Unito, il Paese culla dell'habeas corpus, dove, per legge, l'intercettazione non può costituire in nessun caso fonte di prova in un giudizio, l'intrusione nella privacy del cittadino (quale che sia il mezzo di comunicazione utilizzato) è un provvedimento "investigativo" assunto con decreto dal ministro dell'Interno e a cui sono autorizzati non solo la polizia, ma anche i Servizi Segreti, per un tempo che può arrivare fino ai sei mesi.

Il criterio è quello, discrezionale, della "gravità" del reato che si sospetta si stia consumando. Il materiale raccolto, utilizzato per prevenire un reato ovvero individuarne gli indizi che saranno altrimenti provati, viene distrutto quando ritenuto non più utile e il cittadino intercettato non ne avrà mai conoscenza, a meno che non decida altrimenti un procuratore della Corona.

In Spagna la legge fa acqua ed è stata ripetutamente censurata per sospetta incostituzionalità. Anche qui, come in Italia, in Francia e in Germania (in quest'ultimo Paese la disciplina è rigidamente tipizzata), è un giudice a disporre l'intercettazione, ma sulla base di norme che non individuano nessuna categoria di reati (né in base alla pena, né in base al titolo), ma richiamano soltanto alla loro generica "gravità". Il che, evidentemente, attribuisce una discrezionalità che facilmente può trasformarsi in arbitrio.

(10 giugno 2008) tratto da repubblica.it

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