mercoledì 30 giugno 2010

L'ANELLO DI CONGIUNZIONE TRA I BOSS E IL CAVALIERE

UNA sentenza ripete per la seconda volta, in appello, una verità tragica: Marcello Dell'Utri, l'uomo che ha accompagnato passo dopo passo, curva dopo curva, tutt'intera l'avventura imprenditoriale di Silvio Berlusconi è stato un amico dei mafiosi, l'anello di un sistema criminale, il facilitatore a Milano degli affari e delle pretese delle "famiglie" di Palermo, prima del 1980. Dei Corleonesi, almeno fino al 1992 quando cadono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.


Se sarà confermata dal giudizio della Cassazione, è una "verità" tragica perché ricorda quanto le fortune del Cavaliere abbiano incrociato e si siano sovrapposte agli interessi mafiosi e rammenta come - ancora oggi - possa essere vigoroso il potere di ricatto di Cosa Nostra su chi governa, sui soci di Berlusconi, forse sullo stesso capo del governo. È stupefacente, alla luce di queste osservazioni, il vivamaria che minimizza, ridimensiona, sdrammatizza l'esito della sentenza di Palermo. Come naufraghi al legno, ci si aggrappa - uno per tutti, lo spudorato Minzolini retribuito con pubblico denaro - alla riduzione della pena di due anni. Dai nove del primo grado ai sette anni di oggi, contro gli undici chiesti dall'accusa in appello. La decisione della corte conclude infatti che "dal 1992 ad oggi, il fatto (il soccorso offerto da Dell'Utri a Cosa Nostra) non sussiste". Prima di affrontare ciò che la sentenza esclude, è un obbligo esaminare ciò che i giudici confermano.

Per farlo, è utile riproporre, liberato dal groviglio di gerundi, il capo di imputazione che la sentenza approva e punisce. Sono parole così chiare e aspre che saranno accantonate per prime dal dibattito pubblico e dai ministri del culto di Arcore.

Dunque, si legge nel capo di imputazione: Marcello dell'Utri ha "concorso nelle attività dell'associazione di tipo mafioso denominata "Cosa Nostra", nonché nel perseguimento degli scopi della stessa. Mette a disposizione dell'associazione l'influenza e il potere della sua posizione di esponente del mondo finanziario e imprenditoriale, nonché le relazioni intessute nel corso della sua attività. Partecipa in questo modo al mantenimento, al rafforzamento e all'espansione dell'associazione. Così ad esempio, partecipa personalmente a incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali vengono discusse condotte funzionali agli interessi dell'organizzazione. Intrattiene rapporti continuativi con l'associazione per delinquere tramite numerosi esponenti di rilievo del sodalizio criminale, tra i quali Stefano Bontate, Girolamo Teresi, Ignazio Pullarà, Giovanbattista Pullarà, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà, Giuseppe Di Napoli, Pietro Di Napoli, Raffaele Ganci, Salvatore Riina. Provvede a ricoverare latitanti appartenenti alla detta organizzazione. Pone a disposizione dei suddetti esponenti di Cosa Nostra le conoscenze acquisite presso il sistema economico italiano e siciliano. Rafforza la potenzialità criminale dell'organizzazione in quanto, tra l'altro, determina nei capi di Cosa Nostra la consapevolezza della responsabilità di Dell'Utri a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte a influenzare - a vantaggio dell'associazione - individui operanti nel mondo istituzionale, imprenditoriale e finanziario. Reato commesso in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo di Cosa Nostra), Milano e altre località, da epoca imprecisata sino al 28.9.1982".

Di questo parliamo. Di un uomo che, a disposizione della mafia, è stato l'"intermediario" fra Cosa Nostra e il gruppo di Silvio Berlusconi. La ricostruzione che la corte approva e condivide è precisa. Marcello Dell'Utri media e risolve, di volta in volta, i conflitti nati tra le ambizioni di Cosa Nostra e la disponibilità di Berlusconi. Anzi, proprio il suo compito di "artefice delle soluzioni" gli permette di occupare un ruolo decisivo alla destra del Capo. Il ruolo di Dell'Utri va scorto e compreso nella relazione tra le pressioni scaricate dai mafiosi su Berlusconi e le mediazioni e gli incontri organizzati da Dell'Utri. Il patron di Fininvest, negli anni Settanta, è minacciato di sequestro (si tenta di rapire a mo' di dimostrazione un suo ospite). Gli piazzano una bomba in via Rovani nel 1975 e ancora nel 1986. Negli anni Novanta tocca alla Standa subire in Sicilia, a Catania, un rosario di attentati. Ora alla sequela di pressioni, minacce, intimidazioni, che la mafia scatena per condizionare il Cavaliere, entrare in contatto con lui, "spremerlo", bisogna sovrapporre il lavorio d'ambasciatore di Dell'Utri se si vuole valutarne il ruolo. Organizza l'incontro tra Berlusconi e i "mammasantissima" Stefano Bontate e Mimmo Teresi per "rassicurarlo" dal pericolo dei sequestri. Fa assumere Vittorio Mangano ad Arcore, come fattore, per cementare "un accordo di convivenza con Cosa Nostra". Cerca di capire che cosa accade e che cosa si nasconde dietro l'attentato a via Rovani. Incontra, nel 1990, i capimafia catanesi e, soprattutto, Nitto Santapola, della combriccola il più pericoloso, per risolvere i problemi degli attentati alla Standa (dopo quell'incontro, non ci saranno più bombe). Sono fatti che oggi, dopo la sentenza di Palermo, devono dirsi documentati (il giudizio della Cassazione è soltanto di legittimità). Il quadro probatorio avrebbe potuto essere più dettagliato e significativo se Silvio Berlusconi ("vittima di quelle minacce, di quelle intimidazioni, di quelle pressioni") non si fosse avvalso della facoltà di non rispondere rifiutando il suo contributo di verità per chiarire - per dire - l'assunzione e l'allontanamento di Vittorio Mangano da Arcore; i suoi rapporti con Dell'Utri; gli anomali movimenti di denaro nelle casse della holding del gruppo Fininvest in coincidenza con la volontà delle famiglie di Palermo di investire a Milano.

Questa narrazione ha superato ora il vaglio del giudizio di appello (definitivo per il merito dei fatti) e legittima una prima conclusione: la sentenza di Palermo non dice soltanto di Dell'Utri, racconta anche di Berlusconi perché conferma quella sorta di "assicurazione" con la mafia che il Cavaliere sottoscrive ingaggiando e promuovendo il suo ex-segretario personale e compagno di studi. Non c'è dubbio che, con questo risultato, Berlusconi paga in Italia e nel mondo un prezzo molto imbarazzante al suo passato. Un onere non giudiziario, ma un costo decisivo, politico e d'immagine. Perché se si assemblano le tessere raccolte in questi anni emerge con sempre maggiore nitidezza, e nonostante l'ostinatissima distruzione della macchina giudiziaria, quali sono il fondo, le leve, le pratiche e i comprimari del successo di Silvio Berlusconi, dove Dell'Utri è soltanto un tassello, una delle concatenazioni oscure della sua fortuna, la più disonorevole forse, ma non la sola. Il puzzle è questo. Il Cesare di Arcore ha corrotto un testimone (Mills) che lo salva da una condanna, anzi da due (prescritto). Ha comprato un giudice (Metta) e la sentenza che gli hanno portato in dote la Mondadori (prescritto). Ha finanziato illecitamente il Psi di Bettino Craxi che gli ha scritto i televisivi decreti leggi ad personam (prescritto). Ha falsificato per 1500 miliardi i bilanci della Fininvest (prescritto). Ha manipolato i bilanci sui diritti-tv tra il 1988 e il 1992 (prescritto). Già potrebbe bastare e invece, alla sua sinistra, agisce (ancora oggi) un avvocato (Previti) condannato per la corruzione dei giudici e, alla sua destra, (ancora oggi) c'è un uomo (Dell'Utri) a disposizione degli interessi mafiosi. Questo è il triste tableau che accompagna Silvio Berlusconi e il malcostume e gli illegalismi che lo circondano - da Scajola a Lunardi, da Bertolaso a Brancher - non ne sono che un ragionato riflesso.

I corifei possono anche strepitare e manipolare i fatti. La scena - tragica per il Paese - non può essere temperata o adulterata dalla riduzione della condanna di Dell'Utri di due anni né dalla conclusione della corte di Palermo di considerare l'insussistenza del concorso in associazione mafiosa "dal 1992 in poi". Bisognerà attendere le motivazioni per valutare questa decisione che colora di nero la silhouette del "Berlusconi imprenditore" liberando da ogni dubbio e responsabilità (sembra) il "Berlusconi politico". La contraddizione non può far felice il capo del governo. L'imprenditore passerà alla storia come il boss di una banda di criminali. Il politico dovrà guardarsi da un'incoerenza giudiziaria che stimolerà - più che deprimere - le inchieste sulla trattativa tra Stato e Mafia, avviata con le stragi del 1992 e accompagnata dalle bombe del 1993. (di Giuseppe D'Avanzo)

lunedì 28 giugno 2010

LA DIFFUSIONE DI MASSA DEL "GIOCO D'AZZARDO LEGALE"

ROMA - "La diffusione di massa del "gioco d'azzardo legale" (Superenalotto, lotterie, poker online e win for life), è tra le prime cause dell'indebitamento delle famiglie. Ed è l'anticamera del ricorso al prestito usurario". Quando mons. Alberto D'Urso, segretario della Consulta nazionale antiusura, ha pronunciato questo grave j'accuse all'Antimafia, fra deputati e senatori è calato un imbarazzato silenzio. Poche ore prima, infatti, il ministro dell'Interno Roberto Maroni aveva presentato alla stessa commissione parlamentare d'inchiesta un riservatissimo documento che svelava come il "mercato dell'usura, in Italia, sia in espansione, favorito dall'attuale recessione economica".
Quell'imbarazzo l'ha poi spiegato il capogruppo Pd, Laura Garavini: Dice: "Da una parte lo Stato è impotente di fronte al dilagare del prestito illegale gestito dalle mafie, dall'altra, anziché, per dirla con D'Urso, "prevenire tutte le cause che generano usura, le incentiva, come avviene per il gioco d'azzardo legale, che sottrae denaro alle famiglie con tecniche sempre più raffinate". E che, secondo uno studio del Censis, ha un volume d'affari di circa 50 miliardi". La prova della resa dello Stato di fronte a questi due fenomeni - racket delle estorsioni ed usura, spesso legati fra loro ed entrambi gestiti dalla criminalità organizzata non solo al Sud, ma anche al Nord, in particolare in Lombardia - viene offerta dai numeri contenuti nella relazione riservata presentata dal titolare del Viminale alla Commissione.

Relazione che contiene atti della Dia, della Dna, e della Svimez, l'associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno. Attraverso usura e estorsioni - si legge nella relazione del Viminale - la Mafia spa (prima azienda del Paese con un fatturato di 135 miliardi di euro e un utile netto di 78 miliardi), controlla il territorio. "E si sostituisce allo Stato nella riscossione delle tasse". "Il giro d'affari del credito illegale si aggira intorno ai 13 miliardi di euro. I commercianti colpiti da usura nel 2009 sono stati200 mila, con un costo di circa 20 miliardi di euro. Quelli vittima di estorsione sono stati 160 mila. Pagano il pizzo l'ottanta per cento dei negozi di Catania e Palermo, il 70% delle imprese di Reggio Calabria, il 50% di quelli di Napoli, del nord Barese e del Foggiano.

A fronte di questo fenomeno criminale di massa è minima la ribellione della società civile: le istanze presentate al Comitato di solidarietà per le vittime sono state appena 151 per le estorsioni, solo 127 per l'usura. "Con il ddl intercettazioni voluto dal governo - spiega Pier Giorgio Morosini, giudice antimafia e membro dell'Anm - non si potranno più perseguire usura e estorsioni con le indagini telefoniche. E grazie all'emendamento D'Addario tuttora in vigore, la vittima di racket che registrerà l'incontro con il suo carnefice rischierà il carcere per intercettazione abusiva".

mercoledì 23 giugno 2010

È Pasquale Nappi il nuovo ‘magnifico’


Eletto rettore per il prossimo triennio accademico

Pasquale Nappi, 50 anni, preside della facoltà di Giurisprudenza, è il nuovo rettore dell’Università di Ferrara per il triennio accademico 2010/2013. Su 631 votanti, Nappi ha conquistato 336 preferenze, contro le 282 dello sfidante Remigio Rossi. Ad Enrico Grazi è andato un voto. Le schede bianche sono state 9, 3 quelle nulle.

Pasquale Nappi è nato a Sassari il 22 maggio 1960, è padre di Raffaele (17) ed Eleonora (15) ed è professore ordinario di diritto processuale civile. Per sei anni è stato Direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche, per due anni vice-presidente della Consulta dei Dipartimenti. Negli anni 2007-2008 è stato coordinatore dei Dipartimenti della Macroarea umanistica e nel 2008 membro del CdA come rappresentante eletto dalla macroarea umanistica.

Attualmente è preside della facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Ferrara. Ha pubblicato decine di contributi in materia di processo civile. Ha condotto studi sui processi speciali, sulle forme di risoluzione dei conflitti che si attuano al di fuori dell’ambito giurisdizionale nonché sulla disciplina della rappresentanza processuale e delle spese giudiziali. E’ curatore del Formulario annotato al codice di procedura civile, giunto alla sua quinta edizione, nonché coordinatore scientifico del Trattato delle insinuazioni al passivo, opera in quattro volumi edita dalla Cedam.

E’ stato relatore a convegni e a seminari nazionali e internazionali. Dal 1993 al 2009 partecipa tutti gli anni a progetti di ricerca di interesse nazionale. E’ membro del Collegio di dottorato in “Diritto dell’Unione europea” dell’Università degli studi di Ferrara (sede di Rovigo).

Dal 1994 è socio della Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile e della Associazione italiana cultori di diritto agrario. Dal 2005 è socio dell’Accademia delle Scienze di Ferrara.

tratto da estense.it