lunedì 30 giugno 2008

PAROLE SANTE...MA INASCOLTATE



Rom, l'attacco di Famiglia Cristiana_ "Indecente prendere le impronte"

ROMA - Parole di fuoco. Una condanna senza appello. Che punta l'indice sul governo, sul progetto di prendere le impronte ai bambini rom. Evocando i tempi cupi delle persecuzioni degli ebrei. Prendere le impronte digitali ai bambini rom è una "indecente proposta", scrive Famiglia Cristiana. Ed è un attacco senza reticenze quello del settimanale dei Paolini. Che una settimana fa aveva scritto che Berlusconi "è ossessionato dai giudici".


Nel mirino finiscono, in particolare i ministri 'cattolici' del governo del Cavaliere che escono "bocciati, senza appello". "Per loro la dignità dell'uomo vale zero - continua l'editoriale - Nessuno che abbia alzato il dito a contrastare Maroni e l'indecente proposta razzista". Ma il ministro dell'Interno tira dritto: "Non arretro di un millimetro". Appoggiato anche dal titolare della Farnesina, Franco Frattini: "Non si parla di retate ma di identificare quelli che vivono nel nostro paese. Questa cosa viene fatta in tanti altri paesi, ma senza nessuno scandalo. Quindi bisogna farla pure qui". Magari per "obbligare qualcuno a mandare i figli a scuola" commenta il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini.

Parole che Famiglia Cristiana non tiene in alcuna considerazione. "Avremmo dato credito al ministro Maroni - prosegue l'affondo dei Paolini che segue la condanna della Cei - se, assieme alla schedatura, avesse detto come portare i bimbi rom a scuola, togliendoli dagli spazi condivisi coi topi. Che aiuti ha previsto? Nulla". Ed ancora: "Non sappiamo cosa ne pensi Berlusconi: permetterebbe che agenti di polizia prendessero le impronte dei suoi figli o dei suoi nipotini? A sessant'anni dalle leggi razziali, l'Italia non ha ancora fatto i conti con le sue tragiche responsabilità (non ce ne siamo vergognati abbastanza). In particolare, quei conti non li ha fatti il centrodestra al governo, se un ministro propone il concetto di razza nell'ordinamento giuridico. Perché di questo si tratta. Come quando i bambini ebrei venivano identificati con la stella gialla al braccio, in segno di pubblico ludibrio".

L'editoriale si chiude con una provocazione. "Quanto alle impronte, se vogliamo prenderle, cominciamo dai nostri figli, ancor meglio, dai parlamentari: i cittadini saprebbero chi lavora e chi marina, e anche chi fa il furbo, votando al posto di un altro. L'affossa 'pianisti' sarebbe l'unico 'lodo' gradito agli italiani".

Anche la Croce Rossa mostra cautela. L'organizzazione partecipareà all'operazione ma, ci tiene a precisare il presidente Maurizio Barra, si tratta di "scelte delle autorità di governo, che la Croce Rossa Italiana, come ente ausiliario, deve solo applicare, nel rispetto dei diritti dell'uomo e in una prospettiva umana".

(30 giugno 2008) tratto da repubblica.it

domenica 29 giugno 2008

Gay Pride...

Bossi: "Sono del parere che è meglio che uno si faccia le donne della sinistra che i culattoni"



Dedicandosi alla trebbiatura nella sua Montenero di Bisaccia, il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro (foto Emblema) ha sospeso il suo impegno mattutino per recarsi a Campobasso alla conferenza programmatica del suo partito e ha colto l'occasione per alzare la qualità del dibattito politico. "L'allora aspirante premier mi sembra facesse una lavoro più da magnaccia, per piazzare questa o quella velina, che da statista". Ha detto con parole "sobrie" l'ex pm.

"Berlusconi sta utilizzando tutto questo tempo in parlamento per farsi le leggi che servono a lui, soprattutto una legge che gli permette di non essere più processato, fosse manco il Padreterno" ha aggiunto Di Pietro, parlando del «lodo Schifani» sull'immunità alle alte cariche dello Stato - così come scrive Corriere.it -. "Noi dell'Idv - ha confermato l'ex ministro - faremo un referendum per permettere ai cittadini di abrogare questa legge in modo che anche lui sia uguale agli altri".

L'agenzia ANSA ricostruisce tutte le reazioni, nel centrodestra e nel centrosinistra, che si sono susseguite dopo le "significative " dichiarazioni. Il Pdl reagisce con vigore facendo quadrato a difesa del Cavaliere e scagliandosi contro l'ex Pm. Non parla Silvio Berlusconi, impegnato in Sardegna in un sopralluogo alla Maddalena in vista del G8 dell'anno prossimo: ma il suo avvocato, Nicolò Ghedini, annuncia querela. Ma Di Pietro reagisce replicando che "non si farà intimorire".

Tocca al portavoce di Berlusconi, il sottosegretario alla presidenza Paolo Bonaiuti replicare direttamente al leader dell'Italia dei Valori: "Il linguaggio rozzo e volgare di Di Pietro - tuona Bonaiuti - è al di fuori della politica, riguarda soltanto l'osteria. Ma come può un partito democratico che si definisce la nuova sinistra accettare e seguire questa degenerazione?". Il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, è durissimo: a Di Pietro rivolge l'accusa di "perseguire un disegno eversivo" e al Pd chiede di prendere le distanze, se non vuole essere considerato "corresponsabile" di comportamenti antidemocratici.

Sarcastico il capogruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri: "Da come parla si capisce che Di Pietro è un analfabeta. Berlusconi disse che la sua laurea era falsa perché regalata dai servizi, ma sbagliava. E' falsa anche la sua licenza elementare". Intervengono anche Lega Nord e Udc e per una volta si trovano d'accordo nell'affermare che il "vero" obbiettivo di Di Pietro non è il Cavaliere ma Walter Veltroni, nella battaglia tutta interna all'opposizione per la conquista della sua leadership.

Di fronte alla chiamata di correità, il Pd si fa sentire con la capogruppo al Senato Anna Finocchiaro, che censura gli insulti di Di Pietro ma non soddisfa l'entourage di Berluscuni: "La politica deve evitare il linguaggio truculento e offensivo". Anche se, sottolinea la senatrice democratica, dal quadro delle intercettazioni emerge una "vicenda squallida" nella quale alle donne viene affidato un ruolo degradato. Replica Bonaiuti: si tratta di una dichiarazione che dice "molto poco" e arriva "troppo tardi".

Freddo nei confronti di Di Pietro anche il coordinatore della Sinistra Democratica, Claudio Fava, "In Di Pietro - sottolinea dall' assemblea nazionale di Chianciano - vedo l'intuizione di alcuni vulnus alla democrazia ma senza un ragionamento composto e articolato di ciò che avviene nella società. Presta poca attenzione alle cause e si concentra solo sugli effetti". Quanto agli insulti rivolti a Berlusconi, Fava è netto: "a certi atteggiamenti non si risponde usando un linguaggio scurrile".

Non ha voluto far mancare un suo contributo al "succoso e filosofico" dibattito che attraversa larga parte della stampa italiana il leader della Lega Umberto Bossi: "Vada a quel paese...Sono del parere che è meglio che uno si faccia le donne della sinistra che i culattoni. Ma - ha aggiunto - bisogna stare attenti quando si hanno delle cariche".

STOP!!!



L’INCOSTITUZIONALITA’ DELL’EMENDAMENTO “BLOCCA-PROCESSI”

Alessandro Pace


A prescindere dagli effettivi (ma non espliciti) motivi che possono aver indotto i senatori Berselli e Vizzini a presentare l’emendamento «sospendi-processi» nel corso della conversione in legge del decreto legge n. 92 del 2008 e a prescindere altresì dal chiaro collegamento di tale emendamento con le vicende personali del Premier (trasparentemente ammesso nella lettera indirizzata da Berlusconi al Presidente del Senato: «excusatio non petita, accusatio manifesta»!), tale emendamento è incostituzionale sotto vari profili.

Innanzi tutto sotto il profilo procedimentale. L’emendamento in questione non ha infatti nulla a che vedere con gli scopi che hanno indotto il Governo ad adottare il decreto legge in questione i quali esplicitamente vengono in esso identificati con l’apprestamento di «un quadro normativo più efficiente per contrastare fenomeni di illegalità diffusa collegati all’immigrazione illegale e alla criminalità organizzata, nonché norme dirette a tutelare la sicurezza della circolazione stradale in relazione all’incremento degli incidenti stradali e delle relative vittime». Conseguentemente, proprio in ragione di tale estraneità, tale emendamento si pone in contrasto con l’art. 77, comma 2 Cost., avendo la Corte costituzionale di recente statuito: a) che la mancanza del requisito della straordinarietà ed urgenza vizia il decreto legge e la relativa legge di conversione (sentenza n. 171 del 2006); b) che è viziato l’emendamento inconferente con le finalità del decreto legge, conseguentemente privo di tale requisito (sentenza n. 128 del 2008).

In secondo luogo, e sotto più aspetti, l’emendamento è manifestamente irrazionale e quindi incostituzionale ai sensi dell’art. 3 Cost. La sua irrazionalità consiste infatti:
1) nella scarsissima credibilità della giustificazione addotta dal Premier, nella citata lettera, secondo cui «questa sospensione di un anno consentirà (…) al Governo e al Parlamento di porre in essere le riforme strutturali necessarie per imprimere una effettiva accellerazione dei processi penali» (laddove è assai più credibile che la sospensione serva al Premier per far approvare nel frattempo una qualche legge che lo ponga definitivamente al riparo dalle conseguenze del caso Mills, nel quale è imputato del reato di corruzione in atti giudiziari);

2) nella irrazionalità dell’esclusione dal provvedimento di sospensione dei soli reati più gravi, che si pone in palese contrasto con quanto affermato sia da destra che da sinistra durante la recente campagna elettorale, e cioè che dovesse essere prontamente soddisfatta la generale richiesta di sicurezza a fronte della diffusa microcriminalità (mentre qui vengono addirittura esclusi furti, rapine e stupri, e cioè proprio quei reati che il decreto legge n. 92 intenderebbe radicalmente contrastare);

3) nella mancata ricomprensione, tra i reati più gravi (per i quali la sospensione non opera) del reato di corruzione del pubblico ufficiale (tra cui i giudici) e di corruzione in atti giudiziari, che sono forse i reati più gravi in uno «stato di diritto», nel quale la correttezza della conduzione dei processi mira ad assicurare l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge.

In terzo luogo, l’emendamento in questione si pone in palmare contrasto con l’art. 112 Cost., il quale, sancendo l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, costituisce il «punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale, talché il suo venir meno ne altererebbe l’assetto complessivo» (così la Corte costituzionale nella sentenza n. 88 del 1991).

Dal che consegue che, fino a quando esisterà quel precetto costituzionale, il Parlamento, e tanto meno il Governo, potrà vincolare i magistrati a seguire scale di priorità nel perseguimento di dati fatti criminosi (con una sostanziale immunità per i reati pretermessi). Il Parlamento può bensì depenalizzare certi fatti, ma finchè essi sono qualificati reati, tutti devono essere immediatamente perseguiti.

L’amara realtà che ciò non sempre accada dipende non dall’inesattezza di quel principio costituzionale, ma dalla scarsità delle risorse destinate alla Giustizia, dai vuoti di organico e dalla scarsa severità con la quale il CSM in passato ha punito i giudici fannulloni. Ancor più a monte essa dipende dalle altrettanto scarse risorse destinate alla Pubblica Istruzione e quindi alla formazione delle future generazioni alle quali - cosa gravissima - non sono inculcati sin dai primi anni di scuola i valori della nostra Costituzione. Per rendercisi conto di queste indiscutibili verità non occorre che la giustizia resti ferma per un anno e che centomila processi rischino di essere sospesi.

(22 giugno 2008)

tratto da associazionedeicostituzionalisti.it

Ancora tu, ma non dovevamo non vederci più?



Oh no, ancora lui! - 27/6/08 tratto da megachip.info

Traduzione di Paolo Maccioni dal Financial Times - da paolomaccioni.it

Con un editoriale di fuoco il Financial Times fa una drammatica valutazione dei primi due mesi del governo Berlusconi.
Silvio Berlusconi è al potere in Italia da quasi 50 giorni. Vedere il suo nuovo governo in azione è un po' come sedersi a guardare ancora una volta un vecchio brutto film. Quando il leader di Forza Italia governò l'Italia dal 2001 al 2006, investì troppo tempo a legiferare per proteggere se stesso dalle inchieste e troppo poco per riformare la stagnante economia italiana.


Ovviamente è troppo presto per esprimere giudizi netti. Ma l'ultima uscita di Berlusconi al governo ha già i tratti di un nuovo show dell'orrore.

Ancora una volta il 71enne premier investe molta della sua energia politica a legiferare per proteggersi dagli inquirenti italiani. Vuole passare una legge che sospenderebbe per un anno la maggior parte di casi giudiziari i cui reati comportano più di dieci anni di condanna. Se questa legge passasse farebbe naufragare un processo fissato per il prossimo mese nel quale Berlusconi è accusato di aver pagato 600.000 dollari al suo avvocato britannico David Mills. L'opposizione – non c'è bisogno di dirlo - l'ha ribattezzata “legge salva premier”.

Berlusconi non si ferma qui. Sta anche cercando di introdurre una legge che darebbe immunità dalle inchieste giudiziarie alle più alte cariche dello Stato, incluso se stesso. Una legge siffatta sarebbe impensabile nella maggior parte dei paesi occidentali ed era stata ritenuta incostituzionale dalla Corte Costituzionale italiana l'ultima volta che Berlusconi cercò di introdurla nel 2004. Ora che Berlusconi è tornato al governo ci riprova.

Tutto ciò sarebbe di modesto interesse se Berlusconi spendesse la stessa energia per riformare la stagnante economia italiana. Ma pure su questo fronte i timori crescono. L'ultima volta che era al potere, uno dei peggiori errori fu di lasciare che il deficit e il livelli del debito uscissero fuori controllo. Ci si domanda se stiamo per assistere allo stesso scenario.

Il governo Berlusconi la scorsa settimana ha introdotto un piano finanziario che vedrà crescere il rapporto deficit pubblico/pil dall'1.9% del 2007 al 2,5% nel 2008. Un aumento che potrebbe essere giustificato dalla scarsa crescita economica, ma ancora non si vedono segnali che questo governo voglia mantenere una stretta sulla spesa pubblica.

Per il bene dell'Italia le cose devono migliorare da qui. Il paese ha uno dei tassi di crescita più lenti dell'eurozona. Ha bisogno di un'azione di governo seria e responsabile per far ripartire l'economia. Mercoledì scorso Berlusconi ha detto che i pm italiani l'hanno sottoposto ad un interminabile “calvario”. Ma l'unico calvario di questa vicenda è quello patito dall'Italia, che necessita di un drastico cambiamento del suo destino politico ed economico.

Colombo, Pardi, Flores d’Arcais: tutti in piazza contro le leggi-canaglia

Roma, 8 luglio, manifestazione in piazza Navona. Passaparola!



Care concittadine e cari concittadini,
il governo Berlusconi sta facendo approvare una raffica di leggi-canaglia con cui distruggere il giornalismo, il diritto di cronaca e l’architrave della convivenza civile, la legge uguale per tutti.

Questo attacco senza precedenti ai principi della Costituzione impone a ogni democratico il dovere di scendere in piazza subito, prima che il vulnus alle istituzioni repubblicane diventi irreversibile.

Poiché il maggior partito di opposizione ancora non ha ottemperato al mandato degli elettori, tocca a noi cittadini auto-organizzarci. Contro le leggi-canaglia, in difesa del libero giornalismo e della legge eguale per tutti, ci diamo appuntamento a Roma l’8 luglio in piazza Navona alle 18, per testimoniare con la nostra opposizione – morale, prima ancora che politica – la nostra fedeltà alla Costituzione repubblicana nata dai valori della Resistenza antifascista.

Vi chiediamo l’impegno a “farvi leader”, a mobilitare fin da oggi, con mail, telefonate, blog, tutti i democratici. La televisione di regime, ormai unificata e asservita, opererà la censura del silenzio.

I mass-media di questa manifestazione siete solo voi.

On Furio Colombo
Sen. Francesco Pardi
Paolo Flores D’Arcais


ADERISCI ALLA MANIFESTAZIONE

mercoledì 25 giugno 2008

La conversione impossibile



di Franco Cordero
da Repubblica.it del 19 giugno 2008

Fonte: Uguale Per Tutti

Nel dialetto subalpino circolava una metafora romanesque: “l’hanno cambiato a balia”; forse lo dicono ancora d’uno che improvvisamente risulti diverso (i dialetti e relativa sapienza vanno estinguendosi); l’ubriacone diventa asceta, il codardo compie gesta eroiche et similia.

Stanno nel fisiologico le metamorfosi lente operate da lunghi esercizi (Freud le chiama forme reattive, Reaktionsbildungen).

Qui è innaturalmente fulminea.

Tale appariva la conversione del Caimano in homme d’Etat pensoso, equanime, altruista.

Impossibile, natura non facit saltus. Nessuno cambia d’un colpo a 72 anni, tanto meno l’egomane insofferente delle regole (etica, legalità, grammatica, buon gusto), specie quando sia talmente ricco in soldi e voti da mettersele sotto i piedi.

Era molto chiaro dall’emendamento pro Rete4, in barba alla disciplina della concorrenza, ma i cultori del cosiddetto dialogo perdonano tutto o quasi.

Nell’aria del solstizio, lunedì sera 16 giugno, Leviathan (nome biblico del coccodrillo archetipico) batte due colpi.

Partiamo dall’arcinoto retroscena.

Come gli capita spesso, soffre d’antipatiche rogne giudiziarie: in un dibattimento milanese prossimo all’epilogo è chiamato a rispondere del solito vizio, definibile lato sensu “frode”; stavolta l’accusa è d’avere pagato David Mills, avvocato londinese, affinché dichiarasse il falso su fondi neri esteri; l’aveva incautamente svelato l’accipiens.

Inutile dire quanto gli pesi la prospettiva d’una condanna: il massimo della pena è otto anni, art. 317 ter c. p., o sei, se fosse applicato l’art. 377 (indurre al falso chi abbia la facoltà d’astenersi); appare anomala l’ipotesi d’un presidente del Consiglio interdetto dai pubblici uffici, né sarebbe pensabile l’insediamento al Quirinale nell’anno 2013; punta lì, lo sappiamo, in un’Italia ormai acquisita, patrimonio familiare, dépendance Mediaset.

La posta è enorme. Altrettanto i mezzi con cui risponde al pericolo.

Esiste un dl sulla sicurezza pubblica. Palazzo Madama lavora alla conversione in legge.

Gli emendamenti presentati dai soliti yes men prevedono la sospensione d’un anno dei processi su fatti ante 1 luglio 2002, la cui pena massima non ecceda i 10, pendenti tra udienza preliminare e chiusura del dibattimento; così tribunali e corti sbrigheranno il lavoro grosso.

Lo dicono senza arrossire i presentatori del capolavoro e lo ripete Leviathan nella lettera al presidente del Senato, sua devota creatura, annunciando un secondo passo, ripescare l’immunità dei cinque presidenti, dichiarata invalida dalla Consulta quattro anni fa.

Sarà sospeso anche uno dei processi inscenati a suo carico “da magistrati d’estrema sinistra”: gliel’hanno detto gli avvocati; che male c’è?; un perseguitato politico deve difendersi; e ricuserà il presidente del tribunale, lo rende noto en passant.

Ma è puro caso che l’emendamento gli riesca comodo.

La ratio sta nell’interesse collettivo.

Discorso molto berlusconiano, chiunque glielo scriva.

Tra un anno sarà immune: se non lo fosse ancora, basterebbe allungare la sospensione; tra cinque da palazzo Chigi scala Monte Cavallo, sono due passi; nel frattempo vuol essersi riscritta la Carta vestendo poteri imperiali (davanti a lui, Charles-Louis-Napoléon, III nell’ordine dinastico, è un sovrano legalitario).

In sede tecnica riesce arduo definire questo sgorbio, tanto straripa dalla sintassi legale. Ciurme parlamentari sfigurano il concetto elementare della legge: va al diavolo la razionalità immanente i cui parametri indica l’art. 3 Cost.; l’atto rivestito d’abusiva forma legislativa soddisfa solo l’interesse personale del futuro padrone d’Italia.

Vengono in mente categorie elaborate nel diritto amministrativo: “le détournement du pouvoir”; mezzo secolo fa Francesco Carnelutti configurava l’ipotesi “eccesso di potere legislativo”.

Siamo nel regno dei mostri, studiato dal naturalista Ulisse Aldrovandi.

L’espediente appare così sguaiatamente assurdo in logica normativa, da sbalordire l’osservatore: perché sospendere i processi su fatti ante 1 luglio 2002, mentre seguitano i posteriori?; e includervi i dibattimenti alla cui conclusione manchi un giorno?; tra 12 mesi l’ingorgo sarà più grave, appena ricadano nei ruoli.

Che nel frattempo il taumaturgo d’Arcore abbia quadrato il cerchio allestendo una giustizia rapida, è fandonia da imbonitori: la pratica abitualmente, quando non adopera le ganasce; o forse sottintende una tacita caduta nella curva dell’oblio; spariscono e non se ne parla più, amnistia anonima. Oltre alla patologia amministrativa, l’incredibile pastiche ne richiama una civilistica: il dolo, nella forma che Accursio chiamava “machinatio studiosa”, stretta parente della frode, tale essendo la categoria sotto cui è definibile l’epopea berlusconiana (avventuriero piduista, impresario delle lanterne magiche, grimpeur d’affari risolti con trucchi penalmente valutabili, intanato in asili fiscali a tenuta ermetica, spacciatore d’illusioni elettorali): gli emendamenti galeotti hanno come veicolo un dl firmato dall’ignaro Presidente della Repubblica su materie nient’affatto analoghe, e s’era guardato dal dire cosa covasse; in nomenclatura romana, dolus malus.

Gli sta a pennello l’aggettivo tedesco “folgerichtig”, nel senso subrazionale: ha dei riflessi costanti (finto sorriso, autocompianto, barzelletta, morso, digestione); non tollera le vie mediate; sceglie d’istinto la più corta, come il caimano quando punta la preda. Con questa sospensione dei processi sotterra l’azione obbligatoria: Dio sa cos’avverrà nei prossimi cinque anni ma gli obiettivi saltano all’occhio: la vuole a’ la carte; carriere distinte, ovvio; Procure agli ordini del ministro, sicché il governo disponga della leva penale; procedere o no diventa scelta politica (se ne discorreva nella gloriosa Bicamerale sotto insegna bipartisan: Licio Gelli, fondatore della P2, rivendicava i diritti d’autore riconoscendo le idee del suo “Piano” d’una “rinascita democratica” anno Domini 1976; l’ancora invisibile demiurgo frequentava la loggia in quarta o quinta fila).

A quel punto nessuno lo smuoverebbe più se fosse il superuomo cantato dai caudatari, invulnerabile dal tempo.

Le altre due mete è chiaro quali siano: prima, uscire dall’Unione europea, compagnia scomoda; seconda, moltiplicare lo smisurato patrimonio.

Sul quale punto nessuno con la testa sul collo ha dubbi: anni fa gli contavano 40 mila vecchi miliardi; crescono come la vorace materia prima evocata da Anassimandro.

sabato 21 giugno 2008

Lucariello e Ezio Bosso - Cappotto Di Legno


Cappotto Di Legno - Il "making of" del video


PROCESSO SPARTACUS: CONFERMATI ERGASTOLI PER BOSS DEI CASALESI

19/06/2008

Tra i condannati a vita anche Francesco Schiavone, detto Sandokan. In aula Roberto Saviano, autore di "Gomorra"

PAROLE SANTE...MA INASCOLTATE


Giovedi 19 Giugno 2008
IMMIGRAZIONE: CARD. MARTINO, “L’ESIGENZA DI FUTURO NON È MAI CLANDESTINA E NON È MAI REATO”

“L’esigenza di futuro non è mai ‘clandestina’ e non è mai reato, ma si deve e si può coniugare e incontrare con l’altro, non avendo paura della fatica di costruire nella pace, nella giustizia e nella corresponsabilità, un futuro per tutti. E chi entra nel nostro Paese rimane un uomo, una donna, un giovane, anche quando non è in grado di regolarizzare il suo ingresso, spesso a motivo di difficoltà insuperabili per chiunque”. Lo ha detto questa sera nella Basilica di Santa Maria in Trastevere il card. Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti, presiedendo una veglia di preghiera “in memoria delle vittime dei viaggi verso l’Europa”, promossa dalla Fondazione Migrantes, Centro Astalli, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Caritas Italiana e Acli. Per il card. Martino “non c’è sdegno, senza solidarietà. Non c’è sicurezza, senza accoglienza e integrazione. Certo faticosa, ma è più faticoso vivere di paura e lasciare che questa modelli la cultura, i comportamenti e le scelte. Il Male, quando c’è – ha affermato - non appartiene a un popolo, ad un’etnia: è invece la minaccia reale che colpisce chi fugge, e che induce noi a vivere senza guardare al futuro”.

tratto da agensir.it

PAROLE SANTE...E STRUMENTALIZZATE


(29 luglio 2006) tratto da repubblica.it

ROMA - Subito dopo l'approvazione dell'indulto, arrivanao i primi commenti dei due ministri che si soo duramente confrontati, sulle nuove norme. Il primo è il Guardasigilli Clemente Mastella: "Questo è un atto eccezionale, lo dedico a papa Giovanni Paolo II - dichiara - anche se è evidente che servono amche interventi di tipo strutturale", nel campo della giustizia

estratto da Ok all'indulto, Di Pietro attacca "Scelta sbagliata che pagheremo"

clicca sul link per l'articolo integrale...

venerdì 20 giugno 2008

La Direttiva della Vergogna



Immigrati: la direttiva della vergogna. Previsti 18 mesi di galera per innocenti senza documenti

di Giulietto Chiesa

Fonte: Megachip

Bruxelles, 18 Giugno 2008

Un Parlamento Europeo in grande maggioranza prono di fronte ai governi ha approvato la "direttiva della vergogna", altrimenti soprannominata "Ritorno". Uno scempio giuridico che prevede, tra l'altro, di infliggere fino a 18 mesi di carcere a uno straniero trovato senza documenti validi sul territorio di uno stato europeo. Che prevede l'incarcerazione per i minori. Che impone tempi inaccettabili di rimpatrio coatto. Che fa ricadere sull'immigrato perfino le inadempienze del paese d'origine da cui il "reprobo" ha cercato di fuggire, perchè senza lavoro, o senza cibo, o senza sostentamento.

Mentre in Inghilterra si discute se concedere o meno un prolungamento dell'arresto oltre i 42 giorni per un sospetto di terrorismo, in Europa si decide che una persona senza documenti ma innocente, possa essere messa in galera, fino a un anno e mezzo.

Queste norme, che tutti i governi europei, all'unanimità, hanno imposto (e che il Parlamento avrebbe avuto il potere di respingere, cosa che non ha fatto), sono in aperto contrasto con i diritti umani che l'Europa afferma di voler difendere e tutelare. Non a caso Jacques Delors invitava nei giorni scorsi i deputati europei a respingerle.

Questa Europa semina vento, e raccoglierà tempesta. Questa Europa non ha capito la lezione del referendum irlandese. Questa Europa corre dietro le chimere della destra, che promette una sicurezza che, con questi metodi, non potrà garantire a nessuno e, anzi, metterà a repentaglio.

Ciliegina sulla torta: molti deputati del Partito Democratico , sia nel gruppo socialista, sia nel gruppo che ancora, dopo questa vergogna, non ha smesso di chiamarsi liberal-democratico, si sono astenuti anche dopo avere verificato che nessuno degli emendamenti correttivi era stato approvato dall'Assemblea. La direttiva della vergogna è anche la direttiva della loro vergogna.


Immigrazione: il Parlamento Europeo approva la "Direttiva della Vergogna"

di Vera Cavallin

Ieri mattina a Strasburgo il Parlamento Europeo ha approvato con 369 sì, 197 no e 106 astenuti la direttiva sui rimpatri, senza apportare modifiche al testo di compromesso. Non e'stato approvato nessuno degli emendamenti presentati da Socialisti, Verdi e Sinistra Nordica che volevano evitare di rendere definitivo in prima lettura questo testo. Da oggi quindi inizia una nuova fase della politica d'immigrazione targata EU che detterà le linee guida degli Stati Membri per quanto concerne l'immigrazione clandestina. In poche parole, la Direttiva serve a creare una rete di norme comuni a tutti i Paesi membri al fine di armonizzare a livello europeo le misure da prendersi nei confronti dell'immigrato clandestino, in relazione alla sua detenzione/espulsione.

Nata per regolarizzare i sistemi di espulsioni in Europa gestendo la detenzione dei " sans-papiers" nei CPT e la loro successiva espulsione verso i Paesi d'origine, la Direttiva rimpatri entrerà in vigore a breve. Basterà il via libera formale dei Ministri degli Interni e Giustizia per darle ufficialmente valenza legale ed effetto diretto nelle legislazioni nazionali.

In questo contesto è da ricordare che per la prima volta il Parlamento ha giocato la carta della co-decisione con il Consiglio UE in materia di immigrazione illegale, finora di competenza intergovernativa. É anche da ricordare che il Parlamento Europeo oggi ha votato a favore di un documento che rema contro quello che dovrebbe essere lo spirito comune di un' Europa moderna e aperta, portatrice di valori di democrazia e solidarietà, umana nel gestire situazioni di estrema difficoltà e disagio.

Quali sono i punti più dibattuti della Direttiva?

Essa prevede che l'immigrato clandestino possa optare, in un lasso di tempo non superiore ai 30 giorni, per un ritorno volontario al proprio Paese di origine oppure verso un Paese di transito con il quale vi siano accordi bilaterali di riammissione. Nel momento in cui l'immigrato decide di non abbandonare il Paese d'arrivo scatta la detenzione che, proprio grazie a questo nuovo documento, potrebbe essere prolungata fino a 18 mesi. Detenzione nei CPT che, per chi li conosce, non sono poi così diversi da prigioni un po' infiocchettate. É previsto quindi che l'immigrato clandestino venga trattato alla stregua di un criminale e che venga rinchiuso per un anno e mezzo.

Altro punto da considerare e' la detenzione di minori.

Viene garantito l'accesso all'istruzione a chi non ha ancora raggiunto la maggiore eta', ma le regole di espulsione sono le stesse, per quanto nel documento si legga che si tiene in considerazione "l'interesse superiore del bambino". I minori non accompagnati possono essere quindi espulsi verso Paesi dove non hanno né tutori né famigliari, a condizione che vi siano delle strutture d'accoglienza adeguate, si legge.

Altro punto controverso e' l'assistenza giuridica per gli immigrati illegali. Non viene infatti garantito alcun sostegno legale gratuito ma ci si appella alla legislazione nazionale di ciascun Stato Membro.

Infine, una volta espulso, l'immigrato non può più tornare nel Paese dal quale é stato cacciato per una durata di 5 anni.

Gli europarlamentari del PD a Strasburgo hanno sostenuto la Direttiva, enfatizzandone l'utilità per i Paesi che ancora non hanno una legislazione chiara inerente l'immigrazione clandestina, soprattutto per quanto riguarda i tempi di detenzione.

Certo é che un testo di questo tipo mina i diritti dell'uomo in materia di libertà personale e di diritto alla famiglia ed alla vita privata (si pensi all'impossibilità dei ricongiungimenti familiari in caso di divieto di ritorno). Rischia di pregiudicare la concessione d'asilo per persone espulse che, in altri momenti, potrebbero trovarsi nelle condizioni di invocarlo.

Manca completamente di tutela concreta per l'infanzia, venendo meno il precetto base per la difesa del bambino: l'interesse del minore deve essere tenuto in primaria considerazione in ogni circostanza, art. 3 della Convenzione sui diritti dell'infanzia.

La grande pecca del Parlamento europeo è stata quella di non aver aspettato, di aver approvato una Direttiva di questo tipo in prima lettura, quando invece si sarebbe potuto temporeggiare per limarla e renderla almeno accettabile.

V'era il tempo necessario ad una seconda lettura e ad una revisione delle parti più critiche.

Invece é stato fatto il gioco del Consiglio, quindi degli Stati Membri, rafforzando ancor di più la sensazione che l'Europa si stia chiudendo sempre più a fortezza, incapace di gestire un problema tanto complesso quanto umano.

mercoledì 18 giugno 2008

Chi è senza peccato scagli la prima pietra



CARLO FEDERICO GROSSO
Almeno sui tempi Berlusconi è stato anche questa volta di parola. Aveva promesso che il primo Consiglio dei ministri avrebbe approvato il disegno di legge sulle intercettazioni ed è riuscito a realizzare questo suo proposito. Non è invece riuscito a fare approvare lo specifico testo che aveva in un primo tempo prospettato.

Quantomeno alcuni reati gravi di criminalità comune e la corruzione sono stati, infatti, specificamente esclusi dal divieto di intercettare. Lo hanno imposto la Lega e, forse, un po’ di sopravvenuto buon senso.

Nonostante tali modifiche, il testo che è stato proposto al Parlamento è inaccettabile sotto diversi profili. Non è accettabile che dall’ambito delle intercettazioni risultino esclusi numerosi reati gravi di criminalità comune per i quali è prevista una pena massima inferiore a dieci anni di reclusione: fra gli altri, l’associazione a delinquere, lo scippo, l’incendio, la ricettazione, la calunnia, i reati ambientali, quasi tutti i reati economici. Non è accettabile che si preveda che, salvo casi eccezionali, le intercettazioni debbano di regola cessare dopo tre mesi pure se stanno dando risultati positivi. Non ha senso minacciare indiscriminatamente fulmini e galera (tre anni di arresto) ai giornalisti che pubblicano atti processuali non segreti dei quali sia vietata la pubblicazione. Sembrerebbe ampiamente sufficiente la reclusione, già prevista dalla legislazione vigente, ed ulteriormente incrementata dal disegno di legge, per i pubblici ufficiali che violano il segreto investigativo e per i privati (compresi i giornalisti) che concorrono con loro alla realizzazione del reato di violazione del segreto d’ufficio.

È per altro verso illuminante che sia stato previsto che le conversazioni non possano più essere trascritte nelle ordinanze di custodia cautelare ma debbano essere inserite in un fascicolo autonomo rigorosamente secretato fino all’apertura del dibattimento. Ciò significa che tali atti processuali per tutto il corso delle indagini preliminari, ed ancora oltre, rischiano di diventare totalmente segreti: atti, cioè, che non possono essere pubblicati per esteso, ma dei quali, neppure, si potrà dare notizia per riassunto o sommi capi. Tale nuovo principio, che era già presente nel disegno di legge Mastella, costituisce ferita grave inferta al diritto-dovere di informare la gente sulle indagini penali in corso ed al controllo pubblico sulle stesse che la gente, in democrazia, ha diritto di poter esercitare. Anche in questo caso, pertanto, si tratta di un principio inaccettabile.

Questo principio, si badi, non ha d’altronde nulla a che vedere con l’esigenza di assicurare la privacy delle notizie private emerse dalle intercettazioni, riguardino esse gli stessi indagati o soggetti terzi. Vietare che le notizie che non interessano le indagini siano pubblicate è infatti sacrosanto; significa rimediare ad un abuso ripetuto, per anni, dalla stampa e che giustamente si deve far cessare ed adeguatamente reprimere. Pertanto si disponga che le intercettazioni che le contengono siano custodite in appositi fascicoli riservati, rigorosamente secretati e destinati alla distruzione. Cosa ben diversa è pretendere invece il silenzio sull’oggetto dell’inchiesta. Poiché l’indagine penale ha di per sé un interesse pubblico, una volta caduta la specifica esigenza investigativa alla segretezza, la pubblicazione delle notizie che riguardano l’inchiesta stessa non dovrebbe infatti, ragionevolmente, essere impedita.

Non tutto, nel disegno di legge presentato, è ovviamente censurabile. È giusto, ad esempio, che le notizie raccolte non possano essere indiscriminatamente utilizzate in ogni indagine penale ed in ogni processo. È giusto, l’ho appena rilevato, che si vieti la pubblicazione sui giornali di notizie private che non concernono le indagini penali con riferimento alle quali l’intercettazione è stata disposta. Non c’è problema sulla circostanza che a decidere sulla richiesta di intercettazione intervenga un collegio giudicante piuttosto che un singolo giudice; anzi, forse è un bene. Opportunamente è stato previsto che le nuove norme non si applichino ai procedimenti penali aperti al momento della loro entrata in vigore, evitando in questo modo odiosi, eventuali, sospetti di oscuramento mirato di taluni di essi.

È, per altro verso, assolutamente peculiare che il governo nella nuova normativa sulle intercettazioni, pensando forse ai reati di pedofilia ed alle relative, frequenti, indagini penali, si sia specificamente preoccupato di dettagliare che, quando emerge un reato nei confronti di un sacerdote, dev’essere immediatamente avvertito il vescovo, e quando emerge un reato a carico di un vescovo dev’essere avvertito il Vaticano.

Al di là di queste e altre peculiarità, rimangono, pesanti, i rischi menzionati di duplice danno alle indagini penali che concernono reati di criminalità comune ed alla libertà di stampa in tema di cronaca giudiziaria. A questo punto la palla passa al Parlamento. Chissà se, finalmente, tutta l’opposizione, abbandonati i tatticismi o le voglie di accordi trasversali, si schiererà contro con la dovuta compattezza. Sarebbe, soprattutto, un segnale indispensabile a fronte del rincorrersi delle voci secondo cui la maggioranza di governo si appresterebbe, odiosamente, ad iniziative legislative prossime venture di ampia copertura in materia di giustizia penale nei confronti dei potenti.

tratto da lastampa.it

Mafia e massoneria ritardavano processi ai boss: otto arresti



PALERMO (Reuters) - Un accordo tra mafia e massoneria per ritardare i processi ai boss: è quanto hanno scoperto i carabinieri di Trapani e Agrigento che questa notte hanno eseguito otto ordinanze di custodia cautelare nei confronti di persone accusate tra l'altro di corruzione in atti giudiziari e concorso esterno in associazione mafiosa.

A darne notizia fonti investigative, che hanno spiegato che fra le persone arrestate ci sono anche un agente della polizia di Stato, un ginecologo di Palermo e un dipendente del ministero della Giustizia impiegato in una cancelleria della Cassazione.

L'operazione, chiamata Hiram, scaturisce da indagini iniziate nel 2006 sulle cosche mafiose di Mazara del Vallo e Castelvetrano, nel Trapanese.

Fonti investigative hanno spiegato che a beneficiare dei ritardi dei processi, oltre che i boss, sarebbe stato anche il ginecologo palermitano, accusato di violenza sessuale.

I provvedimenti, emessi dal gip Roberto Conti su richiesta del capo della procura di Palermo Francesco Messineo, del procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e del sostituto procuratore della Dda di Palermo Paolo Guido, sono stati eseguiti dal comando provinciale dei carabinieri di Agrigento e Trapani.

Le accuse sono di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d'ufficio.

tratto da reuters.com

'Ndrangheta, 33 fermi a Reggio Calabria



Ricostruita dagli inquirenti la spartizione di importanti opere pubbliche

REGGIO CALABRIA - Nella notte oltre duecento uomini dell’arma dei carabinieri hanno eseguito 33 provvedimenti di fermo su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Le cosche della 'ndrangheta avevano infatti costituito un vero e proprio «cartello» per regolare, anche grazie alla collusione di alcuni personaggi politici ed esponenti delle istituzioni, la spartizione della gestione o comunque il controllo delle attività imprenditoriali relative all'esecuzione di importanti opere pubbliche: dalla «variante di Palazzi», compresa nel programma delle «grandi opere», alla costruzione di un plesso scolastico (l'Istituto Superiore comprensivo «Euclide» di Bova), appaltata dalla Provincia di Reggio Calabria ed andata subaffidata alla ditta collegata al boss Giuseppe Morabito (conosciuto come «Tiradritto») a seguito di accordi che le forze dell'ordine ritengono siano stati presi in un summit tenutosi tra i più autorevoli rappresentanti delle cosche della 'ndrangheta dell'area jonica.

IL CARTELLO - Ulteriore elemento scoperto dai carabinieri è dunque il nuovo assetto delle consorterie criminali che hanno trovato un vero e proprio accordo per la spartizione dei proventi degli appalti pubblici, al punto da creare nuovi organismi direttivi a tutti gli effetti con le rappresentanze delle famiglie mafiose. Significativa l'assenza di danneggiamenti o atti intimidatori nell'area controllata dalle famiglie in totale accordo. Secondo gli inquirenti, infatti, gli episodi intimidatori avvengono nelle zone dove le consorterie sono in contrasto tra loro.

LE INDAGINI - Secondo quanto emerso dalle indagini dei carabinieri, il modus operandi delle cosche si è evoluto nella conduzione di vere e proprie imprese che hanno una parvenza di liceità attraverso le quali ottenere l'assegnazione di alcune funzioni tra le più redditizie, quali ad esempio la fornitura del calcestruzzo preconfezionato. Le cosche operano poi al fine di estromettere completamente soggetti appaltatori estranei mediante l'imposizione di subappalti oppure noli, costringendoli a sottoscrivere lucrosi contratti di fornitura per il movimento terra, approvvigionamento e trasporto di inerti. La qualità dell'opera non risulta mai come richiesto dai progetti ma sempre molto inferiore, al punto da minarne la stabilità nel tempo. Per massimizzare il profitto e contenere i costi, infatti, è pratica comune emettere fatture molto più alte rispetto al reale valore dei materiali utilizzati per realizzare l'opera. Infine, un altro aspetto che i carabinieri nelle indagini hanno accertato è che la gestione della manodopera viene utilizzata per creare una sorta di «consenso ambientale» e serve a mantenere un utile serbatoio di capitale umano che può servire ad ogni livello nel tessuto sociale, imprenditoriale, politico ed amministrativo.

POLITICI - Sono decine i politici, che non necessariamente sono indagati, che compaiono nel provvedimento notificato alle 33 persone fermate con l'accusa di fare parte di cosche della 'ndrangheta della fascia ionica reggina. I nomi si trovano nella parte del provvedimento - quasi 700 pagine - in cui i magistrati parlano dei rapporti tra uno dei fermati, il consigliere comunale di Bova Marina Sebastiano Altomonte, e l'ex consigliere regionale Mimmo Crea, attualmente detenuto nell'ambito di un'inchiesta sui rapporti tra mafia e politica nel settore della sanità, dimessosi dopo l'arresto. Altomonte, considerato dagli investigatori legato alla cosca Vadalà di Bova Marina, in colloqui con altri indagati o anche con persone estranee all'inchiesta intercettati dai carabinieri, parla dei suoi rapporti con alcuni politici per alcuni dei quali mostra scarsa considerazione o li considera negativamente. Parlando poi di una consultazione per il rinnovo del consiglio comunale di Bova Marina, Altomonte afferma che i Vadalà sono scesi direttamente in campo perchè »vogliono prendere tutto il dominio politico così come hanno fatto a Melito«. Il consigliere comunale fermato, che in alcuni colloqui si vanta di capire di politica e di avere un sacco di voti, parla anche degli appoggi dati alle elezioni regionali del 2005 e dei contrasti sorti con alcuni politici sui nomi da sostenere. Silenzio assoluto da parte degli investigatori, invece, sulle voci che da stamattina circolano in vari ambienti politici e giudiziari su inviti a comparire emessi nei confronti di alcuni politici a livello sia regionale che nazionale.


17 giugno 2008 - tratto da corriere.it

martedì 17 giugno 2008

Corsi e ricorsi storici...

Il 13 luglio 1994, il governo Berlusconi emanò un decreto legge (c.d. "decreto Biondi", spregiativamente soprannominato dai critici "salva-ladri") che favoriva gli arresti domiciliari nella fase cautelare per la maggior parte dei crimini di corruzione. Sempre secondo i detrattori del presidente
del consiglio, la tempistica della legge sarebbe stata gestita con attenzione, facendola coincidere con la vittoria dell'Italia sulla Bulgaria nelle semifinali della Coppa del mondo di calcio del 1994, per far passare sotto silenzio la legge in un Paese che pensava solo ai mondiali.


tratto da wikipedia.org



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17/06/2008


NORMA SALVA-PREMIER, SALTA IL DIALOGO BERLUSCONI-PD

E' scontro politico sull'emendamento che dovrebbe congelare per un anno i processi per i reati cosiddetti minori





EURO 2008, ITALIA VOLA AI QUARTI DI FINALE
Euro 2008, Gruppo C: Francia-Italia: 0-2 - Olanda-Romania 2-0.


L'Italia si è qualificata per i quarti di finale dell'Europeo come seconda del gruppo C e affronterà la Spagna, vincente del gruppo D, domenica 22 giugno a Vienna. L'Olanda, prima nel girone C, affronterà la seconda del gruppo D (Svezia o Russia), sabato 21 giugno a Basilea. Francia e Romania sono eliminate.

Senato, via al salva-Berlusconi_ Il premier: "Toghe contro di me"



MILANO - In Parlamento è partita l'operazione salva-Berlusconi. Come anticipato da Repubblica, al Senato sono stati presentati due emendamenti al provvedimento all'esame dell'Aula, che potrebbero essere propedeutici ad una sospensione delle azioni giudiziarie che riguardano, tra gli altri, il presidente del Consiglio.

Le due proposte di modifica sono firmate dai relatori al dl sicurezza Carlo Vizzini e Filippo Berselli: nel primo si interviene sulla formazione dei ruoli d'udienza, indicando quali sono i procedimenti di particolare urgenza per il tipo di reati che devono avere priorità rispetto agli altri. Nel secondo emendamento si prevede invece la sospensione degli altri processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002 "che si trovino in uno stato compreso tra la fissazione dell'udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado". La sospensione sarà immediata al momento dell'entrata in vigore della legge e durerà un anno. Il corso della prescrizione, durante la sospensione del procedimento o del processo penale, resta sospeso.

Berlusconi: "Provvedimento utile, toghe di sinistra contro di me". Per Berlusconi si tratta di "un provvedimento di legge a favore di tutta la collettività e che consentirà di offrire ai cittadini una risposta forte per i reati più gravi e più recenti": così il premier lo ha definito in una lettera al presidente del Senato Renato Schifani, aggiungendo per l'opposizione "non dovrebbe essere approvato solo perché si applicherebbe anche ad un processo nel quale sono ingiustamente e incredibilmente coinvolto".

"Si tratta - aggiunge - dell'ennesimo stupefacente tentativo di un sostituto procuratore milanese di utilizzare la giustizia a fini mediatici e politici, in ciò supportato da un tribunale anch'esso politicizzato e supinamente adagiato sulla tesi accusatoria". "Proporrò al Consiglio dei Ministri di esprimere parere favorevole sull'emendamento", si legge ancora nella lettera, in cui Berlusconi annuncia anche che ricuserà il presidente del Tribunale per il caso Mills.

Il premier rilancia il Lodo Schifani. Berlusconi aggiunge anche: "Proporrò di presentare un disegno di legge per evitare che si possa continuare ad utilizzare la giustizia contro chi è impegnato ai più alti livelli istituzionali nel servizio dello Stato", rilanciando così il lodo Schifani. E' "indispensabile - dice - introdurre anche nel nostro Paese quella norma di civiltà giuridica e di equilibrato assetto dei poteri che tutela le alte cariche dello Stato e degli organi costituzionali, sospendendo i processi e la relativa prescrizione per la loro durata in carica. Questa norma è già stata riconosciuta come condivisibile in termini di principio anche dalla nostra Corte Costituzionale".

(16 giugno 2008) tratto da repubblica.it

Guantanamo, Corte Suprema Usa riconosce i diritti dei detenuti



WASHINGTON - I detenuti di Guantanamo possono appellarsi al diritto costituzionale e ricorrere nei tribunali ordinari americani contro la loro detenzione. Lo ha stabilito la Corte Suprema degli Stati Uniti, al suo terzo intervento sulla spinosa questione della base militare americana a Cuba.

La Corte si è pronunciata con una maggioranza minima, un 5-4 che indicando ancora una volta la spaccatura all'interno del massimo organo giudiziario americano nel valutare la legalità di Guantanamo. E' la terza sconfitta dal 2004 per l'amministrazione Bush sul tema della legittimità costituzionale dell'apparato giudiziario militare messo in piedi dopo l'11 settembre 2001, per tenere in stato di detenzione e processare presunti terroristi. La Corte Suprema ha ribaltato la decisione con cui la Corte federale d'appello aveva confermato la legittimità di una legge che nel 2006 aveva definito le modalità dei processi militari.

La decisione potrebbe avere effetti immediati sui processi in programma, tra cui quello ai presunti responsabili degli attacchi a New York e Washington dell'11 settembre 2001, e sul futuro dei circa 270 detenuti ancora presenti nella base. La scelta dei giudici di Washington offrirà nuove armi agli oppositori di Guantanamo e anche ai due candidati alla Casa Bianca, John McCain e Barack Obama, che sono entrambi favorevoli alla chiusura della prigione nella base militare a Cuba.

In vista dei probabili ricorsi la corte federale di Washington, che ha gestito in questi anni i casi dei presunti terroristi, è entrata in stato di emergenza: i giudici hanno convocato riunioni immediate per decidere cosa fare di vari casi sospesi in attesa della pronuncia della Corte Suprema. I magistrati si aspettano una raffica di ricorsi da parte dei legali dei detenuti e stanno valutando come procedere. La decisione del massimo organo giudiziario, in tutto 70 pagine, crea una sorta di limbo legale caratterizzato dall'incertezza. Anche la Casa Bianca e il Pentagono hanno reagito sottolineando soltanto di aver bisogno di "studiare il provvedimento", per capirne le conseguenze.

Uno degli effetti più immediati sembra essere lo stop a un primo processo di fronte alle commissioni militari che era in programma a Guantanamo nelle prossime settimane. Si tratta del procedimento contro Salim Hamdan, uno yemenita che è stato in passato autista di Osama Bin Laden. Il suo avvocato militare, il comandante di Marina Brian Mizer, ha annunciato che presenterà un ricorso per far cadere le accuse contro Hamdan, sostenendo che l'intera procedura è ora da ritenere non costituzionale.

IL TESTO DELLA SENTENZA (in inglese)

(12 giugno 2008) tratto da repubblica.it

SICUREZZA: LA RUSSA, ESERCITO COME ALTERNATIVA A RONDE



"Questa proposta di impiego dell'esercito l'abbiamo fatta come An prima di arrivare al governo e l'abbiamo fatta in alternativa alle ronde verdi, tricolori, padane, siciliane o di ogni altro colore". Lo afferma il ministro della Difesa Ignazio La Russa in un'intervista a "Repubblica". "Il nostro messaggio e' chiaro: in Italia le ronde le fa solo lo stato, e se i cittadini eccezionalmente iniziano a discutere della possibilita' di passeggiare di notte nella loro citta' per contrastare la criminalita', lo stato ha il dovere di dire 'voi rimanete a casa, e' lo stato che si occupa della sicurezza e di controllare le citta''". A chi, come Chiamparino e di Pietro, gli rimprovera di scambiare l'Italia con la Colombia il ministro replica:" Chi parla di Colombia non gira per l'Italia, non sa cosa chiede la gente". Secondo La Russa, "c'e' una percezione di insicurezza maggiore nei quartieri di alcune citta'". "La mia proposta non e' la panacea per i mali della sicurezza degli italiani: e' una risposta immediata, la vedo come una soluzione tampone, che pero' non dobbiamo aver vergogna di utilizzare e che non va contrastata con toni ideologici da tragedia della democrazia".

tratto da repubblica.it

lunedì 16 giugno 2008

ROBIN HOOD ALL'ITALIANA




tratto da lavoce.info

di Marzio Galeotti - 10.06.2008

La tassa sui profitti delle società petrolifere finirebbe per colpire soprattutto l'Eni. Altre compagnie di raffinazione o di distribuzione non hanno avuto quest'anno risultati particolarmente brillanti, nonostante la crescita del prezzo del greggio. Per i beneficiari, l'aumento delle disponibilità dovrebbe avere moderati effetti espansivi. Anche sulla spesa per carburanti e trasporti. In contrasto con gli impegni del Protocollo di Kyoto. Demagogico l'obiettivo di porre un freno alla speculazione. Si apre forse una stagione di interventi straordinari, dopo quella delle una tantum?

Robin Hood portava via ai ricchi per dare, o ridare, ai poveri: un'azione “etica” ispirata a ragioni di equità di fronte a uno stato ingiusto e vessatorio. Questa volta, in piena globalizzazione, i panni di Robin Hood è deciso a vestirli il nostro ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: i cattivi sarebbero le compagnie petrolifere che fanno enormi e ingiusti guadagni sull’aumento del prezzo del petrolio, complice la riprovevole speculazione finanziaria, e i poveri sarebbero i cittadini, dal momento che il petrolio è una fonte energetica e l’energia serve per produrre tutto, beni e servizi.

LA ROBIN HOOD TAX

Il ministro è l’ultimo, ancorché il più determinato, in ordine di tempo ad avanzare una simile proposta. Se ne discute da almeno tre anni negli Stati Uniti, anche se George W. Bush ha sempre provveduto a rintuzzare simili proposte, mentre Barack Obama ha ventilato l’idea di imporre una tassa del 20 per cento su ogni barile di petrolio che costi più di 80 dollari, da destinare a una riduzione del carico fiscale delle famiglie dei lavoratori pari a mille dollari e all’assistenza di coloro che non possono pagare la propria bolletta energetica. Quando il ministro Tremonti ha prospettato la sua idea a margine dell’ultimo Ecofin, il presidente del gruppo Juncker si è mostrato possibilista, mentre il commissario per il mercato interno, Mc Creevy, ha sostenuto che la competenza in materia è dei governi nazionali purché non vi siano distorsioni della concorrenza. Interessati i francesi, guardinghi gli altri.
Ma in cosa consiste esattamente la proposta di Tremonti? Anzitutto si tratta di un intervento straordinario che è in fase di studio sia per le forme del prelievo che dell’utilizzo, quindi un provvedimento a due facce. Sappiamo di cosa non si dovrebbe trattare: non è lo sconto fiscale sul prezzo dei carburanti introdotto dal ex ministro Bersani, poi scaduto, e non rinnovato dal ministro Scajola (anche se forse ci sta ripensando) e non è nemmeno il tetto all’Iva proposto dal presidente francese Sarkozy. C’è la volontà di colpire la speculazione, dovrebbe toccare i profitti delle società dell’intera filiera e dovrebbe produrre un gettito da restituire in maniera non distorsiva, ma etica, a chi ne ha più bisogno.
In un contesto già così vivace dal punto di vista dell’interesse di cronaca e delle reazioni politiche, possiamo azzardare qualche considerazione anche se i dettagli tecnici mancano del tutto, e quindi qualsiasi analisi economica degli effetti di una simile proposta deve essere rimandata a quando se ne saprà di più.

CONSEGUENZE PER CATTIVI E BUONI

Possiamo cominciare a guardare la Robin Hood tax dal punto di vista di chi la subirebbe. Qui sembra che la società maggiormente interessata dal provvedimento sia l’Eni. Le altre compagnie attive nella raffinazione non hanno avuto quest’anno risultati molto brillanti in termini di utile nonostante l’aumento del prezzo del greggio. Ancor meno le compagnie di distribuzione dove i margini dei gestori sono alquanto compressi. Insomma, il grande utile è quello di “big oil” versione nostrana, cioè l’Eni, 6,6 miliardi di euro nel 2007 con un dividendo versato nelle casse dello Stato di circa 1,6 miliardi. La tassa avrebbe dunque come principale effetto quello di colpire gli utili della prima azienda nazionale, finendo per sostituire dividendi con gettito. Ma la riduzione dei dividendi danneggerebbe anche tutti gli altri azionisti, inclusi i grandi investitori e i piccoli risparmiatori. Questo avrebbe un effetto depressivo sul bilancio di uno strato di cittadini risparmiatori, soprattutto perché deprimerebbe il corso di borsa delle azioni Eni. Difficile prevedere le conseguenze precise di tale operazione. Le altre società petrolifere quotate subirebbero sorte analoga, in presenza di bilanci meno floridi. Il mercato è però alquanto oligopolistico e vi potrebbe essere il tentativo di scaricare l’onere della tassa a valle: passando per lo stadio della distribuzione, finirebbe per gravare sui cittadini utenti dei mezzi di trasporto, privato o collettivo, di persone o merci. A livello di distribuzione, visto il carattere più frammentato del mercato, alcuni protagonisti potrebbero addirittura finire per iscrivere delle perdite a bilancio.
Dal punto di vista dei potenziali beneficiari, non sappiamo come tecnicamente il gettito della tassa verrebbe redistribuito, ma immaginiamo che si tratterebbe di detrazioni, sconti o benefici che vanno a incidere sul reddito delle famiglie (quali sarà da capire). In questo caso l’aumento delle disponibilità dovrebbe avere moderati effetti espansivi. Ciò si tradurrebbe in parte, grande o piccola, anche in un aumento della spesa per carburanti e trasporti, compensando così l’effetto delle crescita dei prezzi di tali prodotti e servizi.

TASSA STRAORDINARIA

Nel complesso è difficile prevedere il risultato netto dell’operazione, ma si può comunque anticipare qualche conclusione.
Per rispondere all’emergenza clima l’Italia, come altri paesi, ha assunto precisi impegni di riduzione delle emissioni in sede di Protocollo di Kyoto e di Unione europea. Da questo punto di vista, ogni intervento dovrebbe essere improntato – piaccia o meno – alla riduzione, non già all’aumento, crescita o recupero, dei consumi di fonti fossili di energia. Il consumo più riottoso a ridursi è proprio quello del petrolio connesso ai trasporti. Questa è la ragione per cui ci eravamo già detti contrari al rinnovo dello sconto fiscale sulla benzina. Nonostante il possibile gradimento immediato, non sarebbe fatto un buon servizio ai cittadini se questi si trovassero a dover pagare successivamente, e in modo più salato, le conseguenze di un provvedimento che avesse stimolato la mobilità e i consumi di carburante;
La Robin Hood tax dovrebbe comunque essere un intervento a saldo nullo per il bilancio dello Stato. Sarebbe dunque necessaria un’attenta analisi che tenesse conto di tutte le modifiche al bilancio dello Stato sia sul versante delle entrate – gettito della tassa e proventi da partecipazioni in società – sia su quello delle spese – trasferimento a categorie di contribuenti ed effetti sul risparmio privato.
L’obiettivo di porre un freno alla speculazione sembra alquanto demagogico. La speculazione di cui si parla è quella del mercato internazionale del petrolio. Assai meno ovvia è la sua presenza sul mercato nazionale, inserendosi tra il petrolio grezzo e il prodotto petrolifero finito: un elemento di evidenza dovrebbe essere la presenza di ampie scorte speculative di materia prima o prodotti intermedi o finiti di cui non pare esservi traccia. Ancora più “speculativa” è l’eventuale partecipazione alla speculazione internazionale di società petrolifere nazionali.
Per stessa ammissione del proponente, la tassa ha carattere di straordinarietà e colpisce un’industria specifica in un momento particolare, in cui i profitti sono considerati abnormi. Viene però da domandarsi se non vi siano o non vi siano state altre industrie con profitti molto ampi, ma che non hanno attratto la stessa attenzione, pur producendo beni o servizi di larghissimo utilizzo: che dire delle bolle immobiliari (prezzo abitazioni)? di quelle finanziarie (mutui)? di quelle agricolo-alimentari? Dovremmo attenderci tasse straordinarie sui profitti anche in quei casi? L’Ocse suggerisce che è preferibile lasciare il mercato e la concorrenza svolgano appieno le loro funzioni. Noi invece sembriamo andare in una diversa direzione: dopo il periodo degli interventi una tantum, adesso sembra essere il periodo degli interventi straordinari.

FORSE A LUGLIO LA "ROBIN HOOD TAX" DI TREMONTI PER I PETROLIERI

Il ministro dell'Economia lancia a Bruxelels la sua proposta contro il caro-greggio








o se preferite...



n.d.r. : questa volta l'accostamento tra "notizia" e video è stato fin troppo semplice...SERVITO SU UN PIATTO D'ARGENTO!

sabato 14 giugno 2008

silenzio...c'e'sempre qualcuno che ti ascolta



e ancora...

Bluff nei numeri di via Arenula!



Bluff nei numeri di via Arenula
Italia, la più garantista d'Europa


di CARLO BONINI
ROMA - Sostiene il ministro di giustizia Angelino Alfano che "grandissima parte del Paese è intercettato". Che "il numero delle intercettazioni non può essere giustificato né in base al numero degli abitanti, né in base al nostro ordinamento giuridico". Che "la spesa è ormai alle stelle: un terzo del bilancio". Dunque, che mettere mano al codice di procedura penale che ne disciplina l'uso e la pubblicità è ormai passaggio improcrastinabile. Le cose stanno cosi?

Se le si incrocia con i dati statistici più aggiornati (fonte lo stesso ministero di giustizia), le parole del ministro sembrano uscirne rafforzate. I numeri dicono che, nel 2007, nel nostro Paese le utenze intercettate sono state 124 mila 845, quattro volte quelle autorizzate nel 2001, e che questo "ascolto", diventato ormai, nelle routine delle procure della Repubblica, "principale strumento di acquisizione della prova", è costato alle casse dello Stato 224 milioni di euro. E tuttavia, i numeri sanno essere bugiardi.

Come ogni addetto - magistrato, investigatore o avvocato che sia - sa ed è pronto a spiegare, il numero di utenze intercettate non equivale ad altrettanti cittadini sottoposti a controllo. In un'indagine penale, uno stesso indagato è intercettato su più utenze: abitazione, ufficio, telefonia mobile. Soprattutto, come la routine giudiziaria documenta, non esiste ormai indagato appena avveduto che non cambi con frequenza settimanale la propria o le proprie schede telefoniche cellulari.

Quel primo numero, dunque - 124.845 - racconta di una popolazione di ascoltati meno fitta di quel che appare. Verosimilmente inferiore agli 80 mila indagati, meno dello 0,2 per cento della popolazione del nostro Paese.

Si potrà dire - come osserva del resto il ministro Alfano - che, anche purgato, resta un numero eccessivo. Ma anche qui, se fonti qualificate del ministero dicono il vero, è un fatto che oltre l'80 per cento delle intercettazioni è autorizzato per reati di criminalità organizzata.

Anche sulla spesa, c'è qualche sorpresa. Nonostante nel 2007 le utenze intercettate abbiano raggiunto il numero più alto degli ultimi sei anni, il risparmio è stato di 84 milioni di euro rispetto al 2005 e di 5 rispetto al 2006. Con un costo unitario per intercettazione di 1.794 euro. La metà del 2005, un terzo del 2002.

"Troppo", si osserva ancora. "Le intercettazioni si mangiano un terzo delle spese di giustizia". Ma anche questa circostanza non appare esatta. Il bilancio per la giustizia del 2007 è stato di 7 miliardi di euro, di cui i 224 milioni per intercettazioni non rappresentano evidentemente il 30 per cento. Al contrario, quella cifra è un terzo di uno dei capitoli di bilancio del ministero. Quello cosiddetto delle "spese di giustizia obbligatorie". Quelle, per intendersi, su cui gravano anche i consulenti, i periti. Le stesse spese al cui pagamento è condannato, per legge, "l'intercettato" riconosciuto colpevole e che, normalmente, il ministero rinuncia quasi sempre ad esigere.

Ancora. I costi per le intercettazioni sono normalmente composti da due voci. Il noleggio delle attrezzature, la tariffa oraria o giornaliera da versare al gestore telefonico (fisso o mobile) per l'uso della linea. Bene, il prontuario con cui, ancora oggi, lo Stato salda queste voci è quello firmato con i gestori 10 anni fa. Più o meno, agli albori della rivoluzione del mercato telefonico. Il ministero paga dunque per intercettare ciò che nessun cittadino si sognerebbe mai di pagare e soprattutto che nessun gestore telefonico si sognerebbe mai di esigere.

Un esempio. Per un'intercettazione ambientale (che funziona attraverso scheda telefonica), lo Stato paga una tariffa business piena da 60-70 euro al giorno. "Con un piano tariffario "you and me" - osserva sorridendo un magistrato - pagherebbe solo il canone della scheda". Da quel prontuario, a quanto pare, non c'è stato modo di scostarsi. Non sono riusciti i governi di centro-destra. Né quelli di centro-sinistra. Né, l'obbligo di piani tariffari agevolati "per ragioni di giustizia" è mai entrato (come avviene in paesi come la Germania) tra le condizioni necessarie per il rilascio della licenza al gestore telefonico.

Se allora l'argomento dei numeri si dimostra meno solido di quel che appare, resta quello dei "princìpi". Un lavoro comparativo pressoché dimenticato della commissione parlamentare giustizia del 2006, "svelò" al nostro Parlamento che la disciplina delle intercettazioni telefoniche, nel nostro Paese, è tra le più garantiste d'Europa, sia nella fase in cui viene disposta (su richiesta del pubblico ministero, la autorizza un gip, fissandone il tempo e i limiti), che in quella in cui viene conclusa (vengono trascritte soltanto le intercettazioni ritenute rilevanti e la parte ne viene messa a conoscenza), cessandone la segretezza anche a beneficio dei media e dunque dell'opinione pubblica.

Qualche esempio. Nel Regno Unito, il Paese culla dell'habeas corpus, dove, per legge, l'intercettazione non può costituire in nessun caso fonte di prova in un giudizio, l'intrusione nella privacy del cittadino (quale che sia il mezzo di comunicazione utilizzato) è un provvedimento "investigativo" assunto con decreto dal ministro dell'Interno e a cui sono autorizzati non solo la polizia, ma anche i Servizi Segreti, per un tempo che può arrivare fino ai sei mesi.

Il criterio è quello, discrezionale, della "gravità" del reato che si sospetta si stia consumando. Il materiale raccolto, utilizzato per prevenire un reato ovvero individuarne gli indizi che saranno altrimenti provati, viene distrutto quando ritenuto non più utile e il cittadino intercettato non ne avrà mai conoscenza, a meno che non decida altrimenti un procuratore della Corona.

In Spagna la legge fa acqua ed è stata ripetutamente censurata per sospetta incostituzionalità. Anche qui, come in Italia, in Francia e in Germania (in quest'ultimo Paese la disciplina è rigidamente tipizzata), è un giudice a disporre l'intercettazione, ma sulla base di norme che non individuano nessuna categoria di reati (né in base alla pena, né in base al titolo), ma richiamano soltanto alla loro generica "gravità". Il che, evidentemente, attribuisce una discrezionalità che facilmente può trasformarsi in arbitrio.

(10 giugno 2008) tratto da repubblica.it

Una Sfilza di Leggende



Una Sfilza di Leggende

Una sfilza di luoghi comuni, spacciati per verità, compromette la serietà della discussione sull' annunciato intervento legislativo sulle intercettazioni. Che siano «il 33% delle spese per la giustizia», come qualcuno ha cominciato a dire e tutti ripetono poi a pappagallo, è un colossale abbaglio: per il 2007 lo Stato ha messo a bilancio della giustizia 7 miliardi e 700 milioni di euro, mentre per le intercettazioni si sono spesi non certo 2 miliardi abbondanti, ma 224 milioni. Però è una leggenda ben alimentata. Si lascia credere il falso giocando sull' ambiguità del vero, cioè sul fatto che le intercettazioni pesano davvero per un terzo su un sottocapitolo del bilancio della giustizia: quello che sotto il nome di «spese di giustizia» ricomprende anche i compensi a periti e interpreti, le indennità ai giudici di pace e onorari, il gratuito patrocinio, le trasferte della polizia giudiziaria. Spese peraltro tecnicamente «ripetibili», cioè che lo Stato dovrebbe farsi rimborsare dai condannati a fine processo: ma riesce a farlo solo fra il 3 e il 7%, eppure su questa Caporetto della riscossione non pare si annuncino leggi-lampo. «Siamo tutti intercettati» è altra leggenda che, alimentata da una bizzarra aritmetica «empirica», galleggia anch' essa su un' illusione statistica. Il numero dei decreti con i quali i gip autorizzano le intercettazioni chieste dai pm non equivale al numero delle persone sottoposte a intercettazione. Le proroghe dei decreti autorizzativi sono infatti a tempo (15 o 20 giorni) e vanno periodicamente rinnovate; inoltre un decreto non vale per una persona ma per una utenza. Dunque il numero di autorizzazioni risente anche del numero di apparecchi o di schede usati dal medesimo indagato (come è norma tra i delinquenti). «Le intercettazioni sono uno spreco» è vero ma falso, nel senso che è vero ma per due motivi del tutto diversi da quello propagandato. Costano troppo non perché se ne facciano troppe rispetto ad altri Paesi, dove l' apparente minor numero di intercettazioni disposte dalla magistratura convive con il fatto che lì le intercettazioni legali possono essere disposte (in un numero che resta sconosciuto) anche da 007, forze dell' ordine e persino autorità amministrative (come quelle di Borsa). Invece le intercettazioni in Italia costano davvero troppo (quasi 1 miliardo e 600 milioni dal 2001) perché lo Stato affitta presso società private le apparecchiature usate dalle polizie; e in questo noleggio è per anni esistito un Far West delle tariffe, con il medesimo tipo di utenza intercettata che in un ufficio giudiziario poteva costare «1» e in un altro arrivava a costare «18». Non a caso Procure come la piccola Bolzano (costi dimezzati in un anno a parità di intercettazioni) o la grande Roma (meno 50% di spese nel 2005 rispetto al 2003 a fronte di un meno 15% di intercettazioni) mostrano che risparmiare si può. E già il ddl Mastella puntava a spostare i contratti con le società private dal singolo ufficio giudiziario al distretto di Corte d' Appello (26 in Italia). L' altra ragione del boom di spese è che, ogni volta che lo Stato acquisisce un tabulato telefonico, paga 26 euro alla compagnia telefonica; e deve versare al gestore circa 1,6 euro al giorno per intercettare un telefono fisso, 2 euro al giorno per un cellulare, 12 al giorno per un satellitare. Qui, però, stranamente nessuno guarda all' estero, dove quasi tutti gli Stati o pagano a forfait le compagnie telefoniche, o addirittura le vincolano a praticare tariffe agevolate nell' ambito del rilascio della concessione pubblica. «Proteggere la privacy dei terzi», nonché quella stessa degli indagati su fatti extra-inchiesta, non è argomento (anche quando sia agitato pretestuosamente) che possa essere liquidato con un' arrogante alzata di spalle. Ma è obiettivo praticabile rendendo obbligatoria l' udienza-stralcio nella quale accusa e difesa selezionano le intercettazioni rilevanti per il procedimento, mentre le altre vengono distrutte o conservate a tempo in un archivio riservato. E qui proprio i giornalisti dovrebbero, nel contempo, pretendere qualcosa di più (l' accesso diretto a quelle non più coperte da segreto e depositate alle parti) e accettare qualcosa di meno (lo stop di fronte alle altre). Prima di dire poi che «le intercettazioni sono inutili» andrebbe bilanciato il loro costo con i risultati processuali propiziati. Ed è ben curioso che, proprio chi ha imperniato la campagna elettorale sulla promessa di «sicurezza» per i cittadini, preveda adesso di eliminare questo strumento che, per fare un esempio che non riguarda la corruzione dei politici, ha consentito la condanna di alcune delle più pericolose bande di rapinatori in villa nel Nord Italia, e ancora ieri ha svelato a Milano il destino di pazienti morti in ospedale perché inutilmente operati solo per spillare rimborsi allo Stato. Senza contare (c' è sempre del buffo nelle cose serie) che proprio Berlusconi ben dovrebbe ricordare come un anno fa siano state le intercettazioni, che ora vorrebbe solo per mafia e terrorismo, a «salvare» in extremis da un sequestro di persona il socio di suo fratello Paolo. Ma il dato più ignorato, rispetto al ritornello per cui «le intercettazioni costano troppo», è che sempre più si ripagano. Fino al clamoroso caso di una di quelle più criticate per il massiccio ricorso a intercettazioni, l' inchiesta Antonveneta sui «furbetti del quartierino». Costo dell' indagine: 8 milioni di euro. Soldi recuperati in risarcimenti versati da 64 indagati per poter patteggiare: 340 milioni, alcune decine dei quali messi a bilancio dello Stato per nuovi asili. Il resto, basta a pagare le intercettazioni di tutto l' anno in tutta Italia.

Ferrarella Luigi

(10 giugno 2008) - tratto da corriere.it

C'È CHI DICE NO!




Trattato di Lisbona, "No" irlandese
Barroso: "Si vada avanti lo stesso"


DUBLINO - Europa davanti all'incubo di una nuova crisi istituzionale, dopo che la maggioranza degli irlandesi ha bocciato con un referendum il Trattato Ue. Tre anni dopo i "No" di Francia e Olanda, che avevano affossato il progetto di Carta costituzionale e portato poi alla firma, il 13 dicembre scorso, del semplificato Trattato di Lisbona, rischia ora di tramontare la riforma di cui l'Unione aveva bisogno.

L'annuncio ufficiale. L'Irlanda ha scelto di non ratificare il Trattato di Lisbona per la riforma Ue. L'annuncio ufficiale del referendum di ieri, è arrivato dal ministro della Giustizia. "Hanno vinto i no - ha dichiarato il ministro in diretta televisiva - alla fine, per una miriade di ragioni, il popolo si è espresso così. Un risultato che lascia delusi ma di cui bisogna prendere atto".

"Non c'è una soluzione rapida" dopo il "No", ha detto il premier irlandese Brian Cowen, ammonendo che ora c'è il rischio di un "potenziale disastro" per l'Ue.

Risultati definitivi. Il "No" ha vinto con il 53,4% dei voti, contro il 46,6 del "Sì". Gli elettori che hanno votato contro il trattato europeo sono stati 862.415, mentre a favore si sono espressi 752.451 irlandesi. L'affluenza è stata di poco superiore al 50% degli aventi diritto. Gli esponenti del governo, sentiti dalla televisione pubblica Rte, avevano già ammesso di aspettarsi questo risultato. E già dalle prime ore della mattina i sondaggi vedevano in testa i voti contrari al documento.

Mercati finanziari. Il risultato del referendum ha avuto immediate conseguenze sui mercati finanziari, con l'euro che ha toccato nei confronti del dollaro Usa il minimo mensile a 1,5307 dopo le notizie diffuse. In particolare, il primo ministro lussemburghese, Jean-Claude Juncker, ha dichiarato che il Trattato di Lisbona non potrà entrare in vigore come previsto il primo gennaio del 2009.

Barroso: "Il trattato non è morto". Sulla bocciatura irlandese, si è pronunciato il presidente della Commissione Europea. José Manuel Barroso ha puntualizzato la posizione della Commissione Europea "Diciotto paesi - ha detto Barroso - hanno già approvato il Trattato, l'Irlanda ha votato "No", ma noi dobbiamo continuare il processo delle ratifiche per sapere esattamente alla fine quali sono le posizioni di tutti i partner".

Il presidente della Commissione Europea ha ribadito più volte che ora è "troppo presto" per parlare di quali soluzioni potranno essere trovate per andare avanti dopo il "No" irlandese. "Dovremo ascoltare prima il premier irlandese - ha osservato Barroso - e poi i leader europei che si incontreranno giovedì e venerdì prossimi a Bruxelles".

Barroso ha anche sottolineato che il "No" dell'Irlanda non risolve certamente quei problemi a cui i 27 volevano dare una risposta efficiente ed efficace proprio attraverso il Trattato sottoscritto a Lisbona lo scorso dicembre. Ha tuttavia aggiunto che il risultato irlandese ha lo stesso peso della bocciatura francese della bozza costituzionale nel 2005.

Repubblica Ceca. Il premier ceco Mirek Topolanek (la Repubblica Ceca assumerà la presidenza di turno all'inizio del 2009), definisce la bocciatura irlandese una "complicazione politica", ma ribadisce che l'Unione Europea dispone di una forza contrattuale stabile, che le permette di "funzionare" comunque. "L'Unione ha già affrontato e superato complicazioni di questo livello", ha aggiunto Topolanek che tuttavia ricorda che "le regole del gioco ci dicono che - se un solo Paese ricusa il processo di ratifica, questo è da considerarsi automaticamente finito".

Francia e Germania. Parigi e Berlino, pur dispiaciute per il "No", si augurano in un documento comune che il processo per la ratifica vada avanti. E' importante che gli altri stati membri dell'Ue che non l'abbiano ancora fatto proseguano con il processo di Lisbona, sottolineano il cancelliere tedesco Angela Merkel e dal presidente francese Nicolas Sarkozy.

"Prendiamo atto della decisione democratica dei cittadini irlandesi con tutto il rispetto loro dovuto, anche se non ce ne rammarichiamo". In ogni caso, proseguono i due statisti, "il trattato di Lisbona è stato firmato dai capi di Stato e di governo dei 27 stati membri e la procedura di ratifica è già completata in 18 paesi. Speriamo dunque che gli altri stati membri proseguano il processo di ratifica".

Sarkozy e Merkel si dicono "convinti che le riforme contenute nel trattato di Lisbona siano necessarie per rendere l'Europa più democratica e più efficace e che le permetteranno di rispondere meglio alle sfide che devono affrontare i suoi cittadini".

Londra. "La Gran Bretagna andrà avanti con la
ratifica del Trattato a dispetto della bocciatura irlandese". Lo ha assicurato il ministro degli Esteri britannico, David Miliband. Nel Regno Unito i conservatori, all'opposizione, premono da mesi con l'appoggio di gran parte della stampa perché la ratifica avvenga per referendum popolare come in Irlanda. Ma il governo laburista capeggiato da Gordon Brown ha scelto la strada del Parlamento, consapevole che un eventuale referendum sarebbe vinto in modo netto dal "No", mentre ai Comuni dispone di una comoda maggioranza disposta ad approvare il trattato.

Spagna. Il "No" irlandese è una "notizia non buona", per il ministro degli esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos, secondo il quale tuttavia "l'Europa non si fermerà" e una "soluzione sarà comunque trovata". Moratinos ha comunque espresso il suo "rispetto per la volontà del popolo irlandese".

Portogallo. Luis Amado, ministro degli esteri, parla di "impasse istituzionale" di fronte alla quale "i Paesi dell'Ue dovranno cercare insieme una soluzione dalla crisi in cui l'Europa è piombata".

Belgio. Il "No" dell'Irlanda al Trattato di Lisbona "non può frenare lo slancio dell'Ue", afferma il primo ministro, Yves Leterme. E "il voto irlandese - ha detto il ministro degli esteri Karel De Gutch - non è un rifiuto della costruzione europea, ma dimostra ancora una volta la necessità di una riforma delle istituzioni europee per renderle più trasparenti e comprensibili, proprio come prevede il trattato di Lisbona".

Danimarca. Copenaghen "deplora" il risultato del referendum irlandese, sottolineando come quello di Lisbona "è un buon trattato frutto di parecchi anni di confronto tra i Paesi europei", afferma il ministro degli esteri Per Stig Moeller.

Polonia. "Il referendum non squalifica il Trattato, e cercheremo il modo più efficace affinchè entri in vigore e non venga dissipata la sua essenza", ha dichiarato il premier polacco, Donald Tusk.

Estonia e Lituania. Se Tallin sottolinea come l'Irlanda "è uno dei PAesi che più ha beneficiato dei vantaggi dell'Ue", Vilnius invita Dublino a fare ora una proposta per uscire dalla situazione di impasse.

(13 giugno 2008) tratto da repubblica.it

giovedì 12 giugno 2008

RISULTATI UFFICIALI_ ELEZIONI UNIVERSITARIE



RISULTATI UFFICIALI delle ELEZIONI UNIVERSITARIE 2008

# CONSIGLIO DEGLI STUDENTI
GIURISPRUDENZA_ 6 ELETTI #


FERSINI FRANCESCO - Student Office - 88
IANNI’ ANTONIO - Officina - 78
TODESCHINI VITO - Officina - 69
GIOACHIN GIULIA - Officina - 61
DELLA BALDA ARIANNA - Student Office - 42
RE AGNESE - Student Office - 41
BUFFONI MATTEO - Student Office - 34
LORENZETTI LUCA - Student Office - 31


# CONSIGLI DI FACOLTA'
GIURISPRUDENZA_ 6 ELETTI #

CALLEGARI GIULIA - Officina - 83
GIOACHIN GIULIA - Officina - 78
FERSINI FRANCESCO - Student Office - 77
MARCHINI JACOPO - Officina - 64
BUFFONI MATTEO - Student Office - 45
RE AGNESE - Student Office - 45
DELLA BALDA ARIANNA - Student Office - 35
LORENZETTI LUCA - Student Office - 22


per i risultati nelle altre facoltà clicca qui.

L'Onorevole Angelino



tratto da canisciolti.info

L'Onorevole Angelino

Un uomo dotato di un minimo di dignità, al posto di Angelino Alfano, dopo che tutti i suoi dati sulle intercettazioni sono stati sbugiardati da Luigi Ferrarella e Carlo Bonini sulle prime pagine del Corriere e di Repubblica (oltreché su l’Unità), avrebbe già scavato un buco in terra e vi sarebbe sprofondato, rosso di vergogna. E in un altro paese un ministro come Alfano sarebbe già stato dimissionato dal suo governo. Perché delle due l’una: o Alfano è un incompetente, e allora se ne deve andare; o mente, e allora se ne deve andare a maggior ragione. Invece Angelino è Angelino, il Cainano è il Cainano e l’Italia è l’Italia.

Dunque il Guardasigilli ad personam resterà al suo posto e verrà premiato: le sue bugie sono servite a mettere in circolo una carrettata di balle e a trasformare un efficacissimo strumento d’indagine in un’emergenza nazionale che ora allarma anche mezza opposizione e persino il capo dello Stato. Tg e giornali della ditta fanno il resto, rilanciando le panzane come se fossero vere (memorabile la prima pagina del Giornale: «Tutti gli italiani sono intercettati»).

La truffa funziona perché sembra basarsi su dati statistici, ma per capire che sono manipolati basterebbe ascoltare l’esordio del ministro (non di un passante) nell’audizione dell’altroieri alla commissione Giustizia della Camera (non al bar o a Porta a Porta): «Secondo un mio calcolo empirico e non scientifico, è probabilmente intercettata una grandissima parte del nostro Paese». Capito? Lui fa i calcoli empirici. E conclude:
1) «Oltre 100 mila persone l’anno sono intercettate in Italia»,
2) «mentre negli Usa sono 1.700, in Svizzera 1.300, in Gran Bretagna, 5.500, in Francia 20 mila»;
3) «Le 100 mila persone intercettate fanno o ricevono mediamente 30 telefonate al giorno. Così si arriva a 3 milioni di intercettazioni».
4) «La spesa sulle intercettazioni è in continua crescita: è aumentata del 50% dal 2003 al 2006» e occupa «il 33% delle spese per la Giustizia».

Difficile concentrare una tale densità di balle, per quanto «empiriche», in così poche parole. Vediamo.
1) I decreti di autorizzazione dei gip alle intercettazioni sono stati nel 2007 appena 45.122 (più 34.844 di convalida, cioè di proroga quindicinale sulle stesse utenze); ma anche prendendo per buono il dato del ministro, 124.845 provvedimenti complessivi, la cifra non indica il numero dei soggetti intercettati: ogni decreto corrisponde a un’utenza, cioè a un numero telefonico (e spesso viene reiterato anche 3-4 volte, visto che ogni 15-20 giorni bisogna rinnovare il provvedimento). E quando s’intercetta un indagato si controllano i suoi cellulari, numeri di abitazione, mare, montagna, ufficio, auto, senza contare che il tizio cambia spesso scheda per sfuggire ai controlli. Il che significa che, a dir tanto, gli intercettati arrivano a 80 mila l’anno (su 3 milioni di processi). Pari non a «tutti gli italiani» o alla «grandissima parte», ma allo 0,2% della popolazione.

2) Contando anche i diversi interlocutori dall’altro capo del filo, si arriva all’incirca all’1%.

3) Paragonare il dato italiano con quello degli altri paesi è come raffrontare le mele con le patate, visto che negli altri paesi il grosso delle intercettazioni le fanno, senza controlli né statistiche, i servizi segreti, le polizie, i pompieri, gli enti locali, le autorità di borsa ecc. Il nostro, come ha appurato nel 2006 la commissione Giustizia del Senato, è il sistema più garantista d’Europa. E l’80% degli ascolti riguarda la criminalità organizzata, cioè le mafie, sconosciute negli altri paesi europei.

4) La spesa per intercettazioni non è in aumento, ma in calo: nel 2005 era di 286 milioni, nel 2006 è scesa a 246, nel 2007 a 224 (40 in meno ogni anno). E 224 milioni non sono «il 33% delle spese per la Giustizia» (7,7 miliardi nel bilancio 2007), ma il 2,9%.

Ecco, la spesa reale è un decimo di quella sparata dall’ empirico ministro. Ma potrebbe avvicinarsi allo zero se lo Stato facesse lo Stato: obbligando le compagnie telefoniche, concessionarie pubbliche, ad applicare tariffe scontate o gratuite per le intercettazioni (che ora costano allo Stato 1,6 euro al giorno per i telefoni fissi, 2 per i cellulari, 12 per i satellitari); acquistando le attrezzature usate dagli agenti per intercettare, anziché affittarle a prezzi da favola da ditte private; recuperando le spese di giustizia dai condannati, che devono pagare i costi sostenuti dallo Stato per processarli (oggi si recupera il 3-7%).

Resta da capire come possano il Pd e l’Anm «dialogare» con un ministro così, solo perché è «pacato». Spara cazzate, ma pacate.

Marco Travaglio - Ora d'Aria da L'Unità