mercoledì 1 ottobre 2008

UNA "VOCE" FUORI DAL CORO

la crisi avanza...




DOVE SBAGLIA PAULSON

Se per procedure simili a quelle del Chapter 11 non c'è più tempo, si possono però utilizzare altre strategie per fermare la crisi, senza per forza ricorrere a un salvataggio statale generalizzato a spese dei contribuenti. Ad esempio, una parziale cancellazione del debito oppure lo scambio debiti-azioni. Le decisioni di questi giorni non sono importanti solo per le prospettive dell'economia americana nel prossimo futuro, determinano anche il tipo di capitalismo nel quale vivremo per i prossimi cinquanta anni. E' il momento di salvare il capitalismo dai capitalisti.

Quando una impresa si trova a fare i conti con perdite imponenti, come è accaduto per esempio a Texaco nel 1985 dopo aver perso una causa da 12 miliardi di dollari contro Pennzoil, la soluzione non è far acquistare dallo Stato i suoi beni a prezzi esagerati, la soluzione è il Chapter 11.
In genere, sotto il Chapter 11, le aziende con una solida attività d'impresa trasformano i debiti in partecipazioni azionarie: si eliminano i vecchi azionisti e le richieste dei creditori divengono richieste di partecipazione azionaria nel nuovo soggetto, che continua a operare con una nuova struttura del capitale. In alternativa, i creditori possono accettare di ridurre notevolmente il valore nominale dei loro crediti in cambio di warrant. Ancor prima del Chapter 11, le stesse procedure sono state adottate nelle disastrose bancarotte delle compagnie ferroviarie all'inizio del Ventesimo secolo. Perché allora un approccio così ben conosciuto non è stato utilizzato per risolvere gli attuali problemi dei settori finanziari?

SOLUZIONE CHAPTER 11

La risposta ovvia: perché non c'è tempo: le procedure del Chapter 11 sono in genere lunghe e complesse e la crisi è arrivata al punto in cui il fattore tempo è cruciale. Lasciato ai negoziati delle parti interessate, il processo richiederebbe mesi e non possiamo permetterci questo lusso.
Ma se il momento è eccezionale, il governo degli Stati Uniti ha preso e si prepara a prendere misure senza precedenti. Come se non bastassero il salvataggio di Aig e il divieto di vendite allo scoperto di tutti gli strumenti finanziari, ora il segretario al Tesoro Paulson propone una sorta di Resolution Trust Company che dovrebbe rilevare (con i soldi del contribuente) le dissestate attività del settore finanziario. Ma a che prezzo?
Se le banche e le istituzioni finanziarie hanno difficoltà a ricapitalizzarsi (cioè a emettere nuove azioni) è perché il settore privato è incerto sul valore delle attività che hanno in portafoglio e non vuole pagarle in maniera eccessiva. Il governo sarebbe capace di valutare meglio il valore di questi asset? No di certo. Nel negoziato tra un rappresentante del governo e un banchiere che vede a rischio il proprio bonus, chi avrà più forza nel determinarne il prezzo? La Resolution Trust Company di Paulson acquisterà le attività finanziarie tossiche a prezzi esagerati, creando così un istituto caritatevole che darà benessere ai ricchi a spese dei contribuenti. Se il sussidio sarà sufficientemente ampio, riuscirà a fermare la crisi. Ma, di nuovo, a quale prezzo? La risposta è miliardi di dollari in denaro del contribuente e, ancora più grave, a prezzo della violazione del principio fondamentale del capitalismo: chi raccoglie i profitti, sopporta anche le perdite.
Nella crisi delle “savings and loan”, il governo americano fu costretto ad acquisire quelle istituzioni perché i depositi erano assicurati dal governo federale. Ma oggi non ha l'obbligo di venire in soccorso dei creditori di Bear Sterns, di Aig o di qualunque altro istituto finanziario trarrà beneficio dalla Resolution Trust Company di Paulson.

DECISIONI PER IL FUTURO

Poiché non abbiamo tempo per il Chapter 11 e non vogliamo soccorrere tutti i creditori, il male minore è fare quello che fanno i giudici quando i processi per bancarotta si allungano perché il contenzioso è aspro: costringere i creditori ad accettare un piano di ristrutturazione nel quale una parte del credito è cancellata in cambio di una forma di partecipazione azionaria o di warrant. C'è persino un precedente per una mossa così ardita. Durante la grande depressione molti contratti erano indicizzati all'oro. Quando la convertibilità in oro del dollaro fu sospesa, il valore di quei debiti andò alle stelle minacciando così la sopravvivenza di molti istituti. L'amministrazione Roosevelt dichiarò inammissibile la clausola, imponendo di fatto una cancellazione del debito. E la Corte Suprema confermò la decisione. Randall Kroszner, oggi membro del board della Federal Reserve, ha studiato questo episodio e ha mostrato che non solo i prezzi delle azioni, ma anche quelli delle obbligazioni salirono notevolmente dopo la decisione della Corte Suprema. Com'è possibile? Come gli esperti di finanza societaria hanno continuato a ripetere negli ultimi trent'anni, avere una struttura del capitale con troppi debiti e poco patrimonio comporta costi reali cosicché una riduzione del valore nominale del debito comporta vantaggi non solo per gli azionisti, ma anche per i creditori.
Ma se entrambe le categorie traggono vantaggi dalla cancellazione del debito perché i creditori non l'accettano di propria volontà? Prima di tutto, esiste un problema di coordinamento. Anche se ogni singolo creditore si avvantaggia dalla riduzione del valore nominale del debito, avrà ancor più benefici se a tagliare il valore nominale sono tutti gli altri, ma non lui. Quindi, tutti aspettano che siano gli altri a fare la prima mossa, provocando così un ovvio ritardo nell'azione. In secondo luogo, dal punto di vista dei creditori, il salvataggio statale resta più vantaggioso. Così ogni voce a riguardo riduce gli incentivi dei creditori ad agire, rendendo il salvataggio statale ancora più necessario.
Come è avvenuto nella grande depressione e in molte ristrutturazioni del debito, nelle attuali circostanze sarebbe corretto arrivare a una parziale cancellazione del debito o a uno scambio debito-azioni: è una strategia ben sperimentata nel settore privato e non coinvolge il contribuente. Se è così semplice, perché nessun esperto l'ha proposta?
I principali attori del settore finanziario non amano questa strategia: all'industria finanziaria piace molto di più essere salvata a spese del contribuente piuttosto che sopportare la propria dose di pena. Imporre uno scambio debito-azioni o una cancellazione del debito non comporta una maggiore violazione dei diritti di proprietà rispetto a un salvataggio di grandi proporzioni, ma incontra resistenze politiche più forti. Il vantaggioso della soluzione Paulson è che tassa i più per dare benefici a pochi. Ma i più, ovvero i contribuenti, sono sparpagliati e non possono ingaggiare una battaglia in Congresso. Invece, l'industria finanziaria è ben rappresentata a tutti i livelli: basti dire che per sei degli ultimi tredici anni, a ricoprire la carica di segretario al Tesoro sono stati uomini con un passato in Goldman Sachs. Ma in quanto esperti di finanza, questo silenzio è anche nostra responsabilità. Proprio come è difficile trovare un medico che testimoni contro un altro medico nei processi per imperizia, anche nei casi più eclatanti, così gli esperti finanziari di entrambi i partiti politici americani sono troppo indulgenti con l'industria nella quale hanno studiato o lavorato.
Le decisioni prese in questi giorni non sono importanti solo per le prospettive dell'economia americana nel prossimo futuro, determinano anche il tipo di capitalismo nel quale vivremo per i prossimi cinquanta anni. Vogliamo un sistema nel quale i profitti sono privati e le perdite socializzate? Dove il denaro dei contribuenti è utilizzato per sostenere imprese fallite? Oppure vogliamo vivere in un sistema dove le persone si assumono la responsabilità delle loro decisioni, dove i comportamenti imprudenti sono sanzionati e quelli prudenti ripagati? Per chi come me crede fermamente nell'economia di mercato, il rischio maggiore nella situazione attuale è che l'interesse di pochi finanzieri vada a minare i meccanismi fondamentali del sistema capitalistico. È giunto il momento di salvare il capitalismo dai capitalisti.

di Luigi Zingales 22.09.2008

tratto da lavoce.info

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