mercoledì 27 febbraio 2008

Precariato e ricerca nell'università

Approvate nuove modifiche perche' tutto resti come prima se non peggio di prima

di Massimo De Carolis

Fonte: il Manifesto

Nelle dichiarazioni ufficiali sembrano tutti d'accordo - professori,
rettori e ministri - su quali siano le misure urgenti e necessarie per
arginare il dissesto delle universita' italiane. Occorrerebbe in primo
luogo correggere la sproporzione tra i pochissimi ricercatori giovani e i
troppi professori ordinari e associati, che da' ai nostri atenei la forma
di una piramide rovesciata, col risultato che l'eta' media dei docenti
italiani e' tra le piu' alte d'Europa e che senza il ricorso a una
marea di
precari, sottopagati o non pagati affatto, nessuna facolta' sarebbe in
grado di far funzionare ne' la didattica ne' la ricerca. In secondo luogo,
si dovrebbe riformare il meccanismo dei concorsi, trasformati da
decenni in
una macchina di cooptazione in cui vale la regola d'oro che a vincere non
e' il piu' meritevole, ma il piu' intrallazzato. Quando pero' dalle parole
si passa ai fatti, questo unanime impegno alla riforma sparisce d'incanto.
Ad esempio, nel cosiddetto decreto "milleproroghe", approvato alla
camera
pochi giorni fa, sono state introdotte a riguardo due modifiche di minima
entita', che tradiscono pero' il proposito di lasciare le cose esattamente
come stanno. Intanto, si e' deciso di fissare entro la fine del mese di
febbraio il termine oltre il quale non potranno piu' svolgersi
concorsi per
nuovi ricercatori con la vecchia procedura, quella della legge Berlinguer,
almeno nel caso di bandi interamente finanziati dai singoli atenei. Si
badi
che questa norma corregge due note ministeriali, emanate nel corso di
questo stesso mese, che fissavano il termine prima al 31 marzo, poi
addirittura al 7 dicembre 2007, mantenendo comunque il principio che,
oltre
un termine dato, dovra' entrare in vigore il nuovo regolamento varato dal
ministro Mussi. Il punto e' che, allo stato attuale, questo
regolamento non
esiste. Ne esiste solo una bozza, ancora al vaglio della magistratura
contabile, di cui - considerati i tempi della politica italiana - nessuno
e' in grado di dire se e quando sara' approvata in via definitiva. Il
buonsenso, evidentemente, avrebbe consigliato di lasciare in vigore le
vecchie regole fino al momento in cui le nuove fossero realmente
pronte, ma
a quanto pare il buonsenso non abbonda tra politici e amministratori. Il
risultato e' che l'attuale termine equivale, di fatto, a un blocco delle
nuove assunzioni, che potrebbe durare anche per anni, prolungando
ancora un
po' il precariato di chi si ostina a volere tentare la strada della
ricerca.
Al contrario, sull'altro versante, quello dei concorsi per associati e
ordinari, della vecchia normativa e' stato reintrodotto addirittura il
meccanismo delle doppie idoneita': ossia, per ogni posto effettivamente
assegnato ci sara' un secondo candidato idoneo, che potra' a quel punto
essere assunto da qualsiasi universita' senza concorso. E' una norma che
consente a una universita' su due (di regola la piu' potente) di
giocare di
rimessa, aiutando i propri candidati a guadagnare una idoneita' nei
concorsi altrui, per poi chiamarli in cattedra senza alcun rischio che il
posto finisca a qualcun'altro, magari solo perche' dotato di maggiori
titoli. Tuttavia, anche l'universita' che bandisce il concorso ha il suo
vantaggio: offrendo in premio l'idoneita' supplementare, puo' ottenere
l'alleanza di un gruppo accademico potente, e assicurarsi cosi' la nomina
del candidato interno per il posto vero e proprio. Nell'un caso e
nell'altro, insomma, l'obiettivo e' mettere al sicuro il risultato prima
ancora che il concorso abbia luogo. Una sicurezza non difficile da
ottenere, visto che i membri delle commissioni di concorso sono eletti a
maggioranza tra i docenti della disciplina, di modo che, almeno nei
raggruppamenti disciplinari poco numerosi (che sono la stragrande
maggioranza), un gruppo accademico bene organizzato sa esattamente quanti
voti puo' far confluire su ciascun candidato e quanti alleati
eventualmente
occorrono per avere il controllo completo di una commissione.
Nei mesi che precedono il concorso, prende forma, cosi', la grottesca
parodia di una campagna elettorale in cui gli aspiranti commissari
chiedono
ai loro colleghi voti e sostegni dichiarando ovviamente in anticipo, con
nome e cognome, il candidato che intendono favorire una volta eletti. Il
risultato non e' solo che i nomi dei vincitori, come si sa, sono gia' noti
a tutti molto prima che il concorso abbia inizio, ma che - per di piu'
- si
ha la garanzia che nessuno possa sedere in commissione senza aver
contratto
impegni e debiti con i propri sostenitori.
Anche nell'improbabile eventualita' di una crisi di coscienza, e'
escluso
che si possa correggere la rotta e premiare un candidato a sorpresa
solo in
quanto si e' dimostrato piu' bravo degli altri, perche' cio'
equivarrebbe a
un tradimento degli impegni presi: l'unica scorrettezza istituzionale che
in Italia e' davvero punita con severita', specie quando si tratta di
impegni chiaramente contrari alla legge e alla decenza. Eppure,
nell'attesa
di una riforma complessiva che si fara' probabilmente attendere per anni,
anche questa stortura potrebbe essere corretta con un minimo buonsenso.
Basterebbe che i commissari fossero eletti a sorte, a rotazione, tra i
docenti della disciplina. Ovviamente, anche in un caso del genere
sarebbero
possibili abusi, dispute e ricorsi. Ci sarebbe pero' quanto meno la
legittima speranza che qualcuno, in commissione, sia realmente neutrale e
disinteressato, mentre col meccanismo attuale nessuna persona sana di
mente
puo' pensare di gettarsi nella mischia se non ha un preciso interesse
personale, giustificato o meno, a influenzare il risultato in una
direzione
prefissata. Una innovazione cosi' banale, realizzabile con un tratto di
penna, metterebbe almeno fine all'avvilente marea di accordi sotto banco,
inciuci, liti e compromessi cui i nostri docenti si dedicano con una
passione e uno zelo degni di miglior causa, e magari snellirebbe anche la
mole dei tanti convegni di studio di dubbia utilita', pagati con fondi
pubblici, che servono in genere piu' a consolidare le alleanze che a far
davvero progredire la ricerca.
Solo che una modifica del genere ridurrebbe anche di molto il
potere e la
capacita' di controllo dei grandi gruppi accademici. Percio' e' probabile
che non se ne fara' nulla, ne' ora ne' mai.