martedì 10 febbraio 2009

Sulla vicenda "Englaro"

Cari amici, vi scrivo, fuori dal rapporto associativo, mosso dal bisogno di
comunicare a colleghi giuristi il mio sgomento di cittadino e giurista di
fronte alla condotta del Governo sul caso Englaro e agli sviluppi che si
prospettano.

Nelle scorse settimane ho provato sconforto e amarezza quotidiana
nell'ascoltare e leggere un profluvio di banalità e falsità irresponsabili
per bocca di personalità governative: si è chiamata "condanna a morte" una
sentenza che chiude una lunga sequela di prudentissime decisioni, le più
lontane da una concezione eutanasica, estremamente attente a conciliare il
rispetto della vita e la tutela della persona; si parla di "morte per fame e
per sete", evocando una tortura, là dove purtroppo non ci sono da anni quelle
esperienze del corpo vivente che sono la fame e la sete; il Presidente del
Consiglio si è permesso - notizie di tutti i giornali non smentite -
leggerezze e falsità come quella di dire che Eluana è "una ragazza che
potrebbe avere un figlio e partorire" o che "potrebbe risvegliarsi e magari
votare per me tra quattro anni".

Ma siamo oltre tutto ciò.
Sulla base di questa campagna di superficialità e per un gioco politico dalle
molte evidenti valenze, si è cercato ostinatamente di cancellare per
decreto-legge una sentenza definitiva non gradita ad una maggioranza politica,
soffocando la discussione in Parlamento e sfigurando rapporti delicatissimi
tra poteri dello Stato.
E' tragico che queste operazioni vengano giustificate in nome della difesa di
valori cristiani: non solo perché si cancella la complessità e la ricchezza
della riflessione cattolica sull'argomento, identificandola con posizioni
irrigidite proprie della gerarchia ecclesiastica italiana, lontane da quelle
di altri episcopati e contrastanti con statuizioni dello stesso Magistero (
si veda il documento dell'episcopato tedesco sul testamento biologico, e
addirittura il Catechismo della Chiesa cattolica in tema di accanimento
terapeutico); ma soprattutto perché tremendo, e inaccettabile per un
pensiero personalista, è il baratto tra il conseguimento di un risultato
normativo e la ferita inferta alla convivenza di comunità morali e al sistema
giuridico dello Stato pluralistico dall' imposizione di una scelta etica per
decreto legge.

Ora lo spunto del caso Englaro e della resistenza opposta dalla Presidenza
della Repubblica all'abuso della decretazione d'urgenza offre il destro al
Presidente del Consiglio di giudicare la Costituzione nel suo insieme come un
arnese obsoleto, opera di filo-sovietici. Ciò è detto da chi è stato eletto
alla sua carica secondo questa Costituzione e ha giurato nelle mani del Capo
dello Stato: e implica palesemente la convinzione che la sua "vera"
legittimazione non discenda più dal meccanismo costituzionale che viene
screditato, ma dall'investitura diretta del consenso popolare, fuori dai
canali costituzionali.

Siamo assuefatti alle forzature e alle sciocchezze. Ma proprio perciò ho
sempre più l'impressione che la nostra generazione di giuristi potrebbe tra
non molto doversi rimproverare un accidioso o compiacente silenzio di fronte a
un processo distruttivo che sta superando il livello di guardia.
Non avendo voce in politica, sarò grato a chi di voi vorrà associarsi a
questo messaggio e farlo circolare.
Personalmente ho aderito all'appello di Libertà e Giustizia e invito chi è
d'accordo con me a fare altrettanto.
A chi è di diversa opinione rivolgo l'invito a discuterne.

con cordialità

Paolo Zatti


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