giovedì 12 febbraio 2009

LIBERTA’ DI SCELTA E DI COSCIENZA. È CHIEDERE TROPPO?

La vicenda personale di Eluana Englaro si è finalmente conclusa. Il momento pretenderebbe silenzio e riflessione. Ma troppe frasi pericolose e sbagliate ancora si urlano: parlamentari, governo, esponenti di uno Stato estero molto attivo in Italia (il Vaticano) continuano (scientemente) a confondere il rifiuto delle cure con l’eutanasia, gridano all’omicidio, pretendono interventi vincolanti per tutti. Giunti a questo punto tacere sarebbe come fuggire intimiditi. Non ci stiamo.
Si è superficialmente e strumentalmente chiamata "condanna a morte" una pronuncia che chiude “una lunga sequela di prudentissime decisioni, estremamente attente a conciliare il rispetto della vita e la tutela della persona” (P. Zatti). Esse applicano un diritto che già esiste da tempo, solidamente fondato su norme costituzionali, su convenzioni internazionali, sulla legge sul servizio sanitario, sul codice civile, sul codice deontologico (S. Rodotà). Chi, invece di sbraitare, leggesse le decisioni saprebbe che la puntuale volontà di Eluana Englaro è stata accuratamente ricostruita; i giudici non si sono limitati a riscontrare la testimonianza del padre. Uomo che è ora costretto a circolare con la scorta, a tanto si teme possano giungere i cosiddetti “cultori della vita”. In questa vicenda si è fatto scempio non solo di un corpo, ma anche di un diritto: la libertà di scelta e di coscienza.
Taluni giocano con le parole per negare che l’idratazione/alimentazione artificiale possa considerarsi una terapia (quando questa presuppone – tra l’altro – interventi chirurgici, consenso informato, continuo controllo medico). Ma se anche non fosse una terapia – e lo è – su quali basi giuridiche bisognerebbe imporla a chi chiede di non esservi soggetto? E perché? Indisponibilità della vita significa sostenere la necessità che questa venga protetta dalle intromissioni altrui ma non può mai tradursi nel negare il principio di autodeterminazione. La possibilità di compiere scelte che riguardino esclusivamente se stessi o l’indirizzo che si vuol dare alla propria vita (nei significati che ad essa si attribuiscono), è alla base della nostra Costituzione (artt. 2, 13, 32, comma 2, Cost.) e di quella che insistiamo a chiamare democrazia. Chi vuole soffrire anche negli ultimi istanti di vita dev’essere assolutamente libero di farlo, ma non può imporci le sue stesse scelte.
In forza del principio di laicità la società e le istituzioni devono garantire uno spazio pubblico democratico entro cui tutti gli individui, credenti o non, possano discutere partendo dal presupposto che le convinzioni, i valori, le fedi sono relativi a chi li professa e che nessuno può imporli agli altri. Ciò significa coscienza del fatto che le rispettive diversità non sono sinonimo di inferiorità sul piano morale e razionale, e che nessun principio è in sé immutabile né depositario dell’unica verità. Ci preme evitare una “totalitaria tirannia dei valori” di qualcuno sugli altri, e il rischio che la pericolosa pretesa di possedere la “Verità” si trasformi in un’arma di sopraffazione e controllo sociale.
Ora il Parlamento sta legiferando sul testamento biologico. Si vuole imporre a tutti la posizione solo di qualcuno; si vuole renderci impossibile scegliere. Pretendiamo che i parlamentari non si trincerino dietro lo strumentale schermo del voto di coscienza. Essi non rappresentano la loro coscienza ma la nazione (art. 67 Cost.). Quando sono in gioco scelte di coscienza di ciascuno di noi la loro coscienza (vera o presunta) non può esserci imposta. Non vogliamo uno Stato etico e confessionale. Vogliamo uno Stato democratico e pluralista. Pretendiamo il rispetto della Costituzione e, in particolare, del principio “supremo” di laicità (sentenza cost. n. 203/1989). Non è chiedere troppo: è chiedere democrazia.

STUDENTI LAICI dell’Università di Ferrara

Nessun commento: